Continua il viaggio lungo la penisola intrapreso nello scorso numero della rivista. Un percorso per scoprire le bellezze e le meraviglie del nostro patrimonio storico, architettonico e naturale, che sono parte integrante del DNA italico. L’esplorazione prosegue in ordine sparso da nord a centro e sud, ma sempre alfabetico, privilegiando luoghi di interesse meno conosciuti perché la ricchezza da cui siamo circondati si trova ovunque.
MOLISE
Castello di Roccascalegna, Chieti La Basilica Santuario di Maria Santissima Addolorata sorge sul dorso di un avvallamento dove, nel 1888, la Vergine apparve a due pastorelle alla ricerca di una pecorella smarrita. Sullo stesso luogo si verificarono altre apparizioni mariane che indussero la Chiesa alla costruzione del Santuario, che fu posizionato più a valle rispetto al luogo delle apparizioni per agevolare l’arrivo dei pellegrini. Nel 1907 venne aperta la Cappella dei Polacchi e solo nel 1975 fu ultimata e consacrata l’intera costruzione, a seguito dei forti rallentamenti per problemi economici dovuti alle due guerre mondiali. Incastonato in una valle verdeggiante, il Santuario è visibile in lontananza con la sua aura fiabesca. Lo stile dell’edificio è neogotico, con una cupola centrale alta 52 metri e torri campanarie svettanti verso il cielo. L’interno è moderno, luminoso, ornato di marmi e mosaici. Il modo più suggestivo per raggiungerlo dal piccolo borgo sottostante di origine normanna è il Sentiero Tobia, che venne inaugurato nel 2011 per salvaguardare e valorizzare il territorio: unisce infatti il tema naturalistico con quello religioso. Dal Santuario parte poi la Via Matris, aperta nel 1947, ovvero un sentiero di 750 metri che conduce ove la Vergine Maria apparve. Suddivisa in sette tappe, ciascuna rappresenta altrettanti dolori della Madonna, dalla fuga in Egitto alla crocefissione di Cristo, fino alla sepoltura di Gesù con la seguente solitudine di Maria. I tanti pellegrini che lo percorrono vi si fermano a pregare e a riflettere, fino a raggiungere la piccola sorgente di acqua che sgorgò a seguito della divina apparizione. Acqua dalle proprietà curative e miracolose che guarirono, certificato, un ragazzo affetto da tubercolosi ossea.
PIEMONTE
Fortezza di Fenestrelle (Torino)
Per le sue caratteristiche architettoniche ePer le sue caratteristiche architettoniche e la finalità difensiva, la Fortezza di Fenestrelle viene anche chiamata La Grande Muraglia del Piemonte. Posizionata infatti sul crinale di una montagna nella Val Chisone, la fortezza si allunga per tre chilometri sul pendio, con un dislivello di quasi 650 metri tra base e sommità. Iniziata nel 1727, la costruzione durò 122 anni arrivando a impiegare anche oltre 4000 lavoratori. Considerata la più grande fortezza alpina d’Europa, è costituita da tre complessi fortificati (San Carlo, Tre Denti e Delle Valli) uniti da un tunnel al cui interno corre una scala coperta. Riparata da mura spesse due metri e composta da migliaia di gradini, anche questa scala ha un primato continentale. Il percorso di congiunzione tra forti e ridotte, ciascuno con dimensioni e con un ruolo specifico, è sia esterno che interno. La Fortezza è oggi visitabile grazie al lavoro di un gruppo di volontari che, a partire dagli anni ‘90, iniziarono l’attività di recupero dallo stato di degrado. Accompagnati dalle guide si possono scegliere tre diverse escursioni, partendo da quella breve di un’ora, passando per il viaggio dentro le mura di tre ore, fino alla passeggiata reale di sette ore che arriva a 1800 metri di altezza. Viene infatti raccomandato un abbigliamento idoneo sia per il fresco montano che per i cambi meteorologi repentini.
PUGLIA
Grotte di Castellana (Bari)
Situate nell’entroterra pugliese, alle porte della Valle d’Itria, queste grotte di origine carsica sono una meta turistica aperta tutto l’anno. Suddivise in due itinerari (il più breve di un chilometro impegna i visitatori per un’ora scarsa, mentre quello di tre chilometri richiede circa due ore), al loro interno la temperatura è di diciotto gradi costanti, con un tasso di umidità pari al 90%. Sono visitabili solo in gruppi scaglionati, con l’accompagnamento di una guida. Il primo ambiente che si incontra è la Grave, la più vasta tra le caverne del complesso coi suoi 100 metri di lunghezza, 50 metri di larghezza e 60 metri di profondità. La profondità media totale è indicata sui 70 metri perché all’interno del sistema ne viene raggiunta una massima di 122. La configurazione attuale è dovuta all’emersione della terra dal mare, unita a piogge e a fratture del terreno, che hanno dato origine a grotte, canyon e canali di collegamento. In passato le Grotte di Castellana sono state circondate da un alone mefistofelico, fino alla prima discesa accreditata nei documenti storici che risale al 1800. Solo nel 1838 uno speleologo vi scese per esplorarle con l’intento di farne un’attrazione turistica. Il ciclo di rilevamenti durò diversi mesi, in più fasi e ancora oggi si ipotizza vi siano spazi sconosciuti oltre i 3,4 chilometri già scoperti. Le stanze portano i nomi attribuiti nel corso del tempo e spesso sono evocativi per qualche elemento naturale presente. Così come l’ultima caverna, battezzata La Grotta Bianca per il biancore dell’alabastro che ha permesso di decretarla come la più splendente al mondo.
SARDEGNA
Orgosolo (Nuoro)
Quando si dice Orgosolo viene in mente il carattere orgoglioso dei suoi abitanti che nel corso degli anni hanno sfidato l’ordine costituito e le cui gesta sono raccontate in un film di Vittorio De Sica. “Banditi a Orgosolo” del 1961 ne manifesta infatti la tenacia, la resistenza, il vivere secondo delle regole comunitarie fuori dalla legge, la vendetta feroce per i torti subiti. Alcuni episodi sono raccontati nei murales che hanno reso questa cittadina della Barbagia un museo a cielo aperto. Il primo murales risale al 1969 per opera di un collettivo anarchico milanese che raffigurò sui muri la pacifica contestazione degli orgolesi nella zona di Pratobello. Sul finire degli anni ‘60 l’esercito italiano aveva infatti disposto che quest’area, usata per la pastorizia, diventasse un luogo di addestramento; i cittadini la invasero e vi rimasero finché, senza colpo né parola ferire, i militari se ne andarono. L’iniziativa di abbellire i muri con dipinti a temi politico-sociali venne ripresa nel 1975 dal maestro della scuola media locale fino a diventare un’iniziativa che richiama oggi artisti da tutto il mondo. I temi dei dipinti vengono concordati con gli abitanti e hanno raggiunto la ragguardevole cifra di duecento, per raccontare di lotte politiche e dissenso sociale, di giustizia e tradizioni secolari. A proposito di tradizioni, Orgosolo è famosa anche per su lionzu (il fazzoletto), ossia un copricapo a benda e color zafferano che incornicia i volti femminili, realizzato con i fili di seta dei bachi allevati in loco. Orgosolo è anche patria del Canto a Tenore, uno stile di canto corale autoctono fortemente socializzante che attinge dalla tradizione agricola e pastorale, insignito del titolo di Patrimonio Orale e Immateriale dell’Umanità nel 2005 da parte dell’Unesco.
SICILIA
Parco Archeologico di Selinunte
(Trapani)
Pochi lo sanno ma quello di Selinunte è il parco archeologico più grande d’Europa nonostante la maggior parte degli edifici siano stati schiacciati dal tempo, dalla conquista cartaginese e dai terremoti di cui il Belice è tristemente famoso. Era questa infatti una florida città greca del VIII secolo avanti Cristo. L’avamposto più occidentale insediato su due porti-canali (adesso insabbiati) che servivano per il commercio con il nord Africa. Sebbene abbia avuto una vita di soli 240 anni, Selinunte raggiunse i centomila abitanti e fu tra le prime città della Sicilia a coniare moneta. La si riconosce perché sopra vi è raffigurata la foglia del sedano selvatico che cresce in quest’area e da cui deriva anche il nome (dal greco: Sélinon). La sua sfortuna fu di trovarsi coinvolta nel conflitto tra greci e punici perché perse tutto il suo splendore quando venne conquistata da questi ultimi. Oltre alla distruzione portata dalla guerra, i cartaginesi la fecero diventare un agglomerato urbano disordinato e privo di ogni attrattiva. Per fortuna ci è comunque arrivato lo stile dorico, lineare e pulito, che caratterizzava gli edifici pubblici e tuttora rintracciabile nel Parco di circa 270 ettari, aperto nel 2013. L’area archeologica è suddivisa in sette sezioni dove spiccano un imponente tempio dedicato a Hera, che fu ricomposto negli anni ‘50 dello scorso secolo mentre i due templi adiacenti sono soprattutto dei cumuli di pietra. In una posizione panoramica, a strapiombo sullo straordinario Mare Nostrum, si erge l’Acropoli di cui sono visibili gli imponenti resti. Percorrendo un sentiero nella campagna si raggiunge la collina di Gàggera e l’area sacra di Malophòros. Nei dintorni sono anche state rinvenute diverse necropoli che, nella loro struttura di ultima dimora terrena, rendono la misura di quanto fosse florida questa città nella sua breve vita.
TOSCANA
Lago di Massaciuccoli (Lucca)
Il Lago di Massaciuccoli sembra uscito da un quadro dei Macchiaioli. E infatti diverse volte venne dipinto dagli esponenti di questa corrente pittorica, per la sua sincera bellezza bucolica. Si tratta di un lago costiero della Versilia, alle spalle della vivace Viareggio. Inserito nel Parco Naturale di Migliarino – San Rossore ha una superficie di quasi sette chilometri quadrati, ed è stato ricavato su una pianura bonificata. L’afflusso dell’acqua arriva da modesti fiumiciattoli, mentre l’emissione in mare è gestita in modo artificiale. Già famoso in epoca romana, su una collina sovrastante è possibile visitare la Villa dei Venulei con annesso complesso termale, dove si trova uno splendido mosaico risalente al I secolo dopo Cristo. Amato anche dal compositore Giacomo Puccini, la località Torre del Lago gli è stata dedicata poiché in essa si trova la villa di residenza nonché la piccola cappella ove il celebre Maestro è sepolto. Le persone oggi frequentano il lago per la sua tranquillità; per la possibilità di dedicarsi al canottaggio, alla canoa e alla vela; per la pista ciclabile che conduce direttamente a Lucca addentrandosi nella vegetazione, con il conforto di diverse aree sosta e pic-nic. Ma il luogo è anche famoso perché dichiarato oasi LIPU nel 1979, in quanto tappa di ristoro per gli uccelli in fase migratoria. I modi per dedicarsi al birdwatching sono diversi, a partire dalle classiche capannelle tipiche dell’osservazione ornitologica, da cui comodamente godere anche di squarci della palude e del lago. Oppure con dei barchini che si insinuano tra canali, insenature e canneti in modo lento, a filo d’acqua. O, ancora, percorrendo una lunga passerella in legno che attraversa il lago regalando una magnifica esperienza di immersione nella natura, godendo solo del suo silenzio pieno di altre sonorità.
TRENTINO ALTO ADIGE
Casa d’arte futurista Depero, Rovereto (Trento)
L’idea di aprire un museo dedicato all’arte futurista venne allo stesso Fortunato Depero. Originario del Trentino, egli fu uno dei fondatori del movimento insieme a Marinetti, Boccioni, Balla e gli altri. Così, nel 1957, ebbe l’ardire di creare uno spazio dove raccogliere e manifestare in tutte le sue forme lo spirito avanguardista della corrente, dall’arredamento agli oggetti di uso comune. Non un atelier, ma un vero e proprio museo, la Casa è collocata nel centro storico di Rovereto, in un edificio di epoca medievale. Depero curò ogni dettaglio, proprio come nella vita aveva declinato la sua creatività dalla pittura al teatro fino alla pubblicità. Molti infatti ricorderanno che da un suo progetto deriva l’iconica bottiglia a cono del Campari Soda. Purtroppo l’artista non ebbe modo di veder completata la Casa, ma lasciò numerosi schizzi su struttura, arredamento e decorazioni che permisero di ultimarla come da sue intenzioni e volere. Restaurata nel 2009, in occasione del centenario del Futurismo, il museo ha un’esposizione permanente affiancata da altre temporanee su temi cari all’artista. Tremila oggetti lasciati alla città trovano così spazio per essere ammirati dai visitatori.
UMBRIA
Pozzo di San Patrizio, Orvieto (Terni)
Dove non arriva la natura vi è l’ingegno dell’essere umano. Soprattutto quando è mosso da una paura o una necessità. Questa è la premessa che portò alla realizzazione del Pozzo di San Patrizio a Orvieto per volere di Papa Clemente VII. Reduce dallo scacco di Roma, che lo obbligò a riparare nella cittadina umbra, il pontefice diede ordine di costruire un pozzo affinché Orvieto fosse autonoma in caso di calamità o di assedio. I lavori iniziarono nel 1527 e ultimarono una decina di anni dopo, quando sullo scranno di Dio sedeva Paolo III Farnese. A ragione è considerato un capolavoro di ingegneria rinascimentale perché costituito da due rampe elicoidali a senso unico, per la discesa e la risalita separata degli asini da soma. Si contano 248 gradini, ampi e bassi, con una settantina di finestre dalle quali irrompe la luce del giorno. Di forma cilindrica, con un diametro di 13 metri, il pozzo fu scavato nel tufo e scende a 54 metri di profondità. Laggiù, un piccolo ponte tuttora praticabile, è l’unico collegamento tra le due rampe. La presenza di acqua dolce deriva da una sorgente naturale, per la quale è stato realizzato un emissario affinché la parte in eccesso possa defluire. Quando perse la sua funzione originaria di approvvigionamento, il pozzo venne eletto dai credenti quale luogo di espiazione dai peccati. Il nome legato a San Patrizio è perché la cavità ricordava la grotta senza fondo nel Donegal dove il patrono d’Irlanda predicava e si pensava conducesse in Purgatorio. Oggi è soprattutto un’attrazione turistica, adiacente alla stazione della funicolare, ma molte persone lanciano sul fondo delle monetine, mosse probabilmente dal rispetto reverenziale che solo certi luoghi sanno trasmettere.
VALLE D’AOSTA
Castello di Fenis (Aosta)
A differenza dei castelli di Verres e di Ussel (sempre in Valle d’Aosta), il Castello di Fenis non sorge su un promontorio e difetta quindi della principale difesa naturale. Costruito in epoca medievale, tra il XIV e il XV secolo, si ritiene perciò che la sua funzione fosse amministrativa, nonché di rappresentanza e prestigio per la famiglia nobiliare locale. Inserito tra i castelli meglio conservati d’Italia, venne ampliato nel tempo in base alle necessità contingenti. Subì poi un lento degrado nel XIX secolo, quando le sale del piano terra divennero delle stalle, mentre quelle al primo piano furono adibite a fienile. Le prime attività di recupero da parte di un privato hanno permesso di dichiararlo monumento nazionale nel 1896. Un’ulteriore opera di restauro iniziò tra le due guerre mondiali, al nostro bel Paese. portandolo a essere la sede museale del mobilio valdostano, oltre che meta turistica. Circondato da una doppia cinta muraria merlettata, il camminamento è percorribile, così come è possibile effettuare delle visite guidate nel palazzo di tre piani ove ammirare le decorazioni pittoriche, simbolo di prestigio e potenza. Ha una forma pentagonale, per compensare la presenza di strutture antecedenti, forse di epoca romana, nonché per le asperità del terreno. Gli ambienti oggi visitabili hanno mantenuto la loro destinazione originaria, dalle cucine alle scuderie. Nel periodo di massimo splendore arrivava ad accogliere una sessantina di persone, tra nobili, servitù e ospiti.
VENETO
Orto botanico (Padova)
Su un terreno di monaci benedettini dell’ordine di Santa Giustina sorge dal 1545 l’Orto Botanico di Padova. Ciò lo rende il più antico al mondo nella sua collocazione originaria, proprio nel centro storico della cittadina veneta. Il suo scopo era la coltivazione e lo studio delle piante medicinali. All’epoca infatti i farmaci erano tutti di estrazione arborea, creando parecchia confusione e molte discrepanze tra gli studiosi. La fondazione dell’Orto, detto all’epoca “dei Semplici” perché tale era la denominazione dei dispositivi medici naturali, servì per fare chiarezza. Istituito su delibera del Senato della Repubblica Veneta in seno alla prestigiosa Università, ebbe un ruolo internazionale nel settore. Sin da subito vennero accolte diverse migliaia di piante e la sua estensione è cresciuta nei secoli arrivando a 37.000 metri quadri con seimila piante coltivate, di cui 3.500 specie diverse. La struttura antica è stata solo parzialmente modificata e accoglie la flora suddivisa per ecosistemi. Vi troviamo quindi: la macchia mediterranea, l’ambiente di acqua dolce, la serra tropicale, la roccera alpina, le piante succulente (o grasse) e, dal 2014, anche un giardino della biodiversità con 1300 specie di piante. L’arboreo più antico è la palma di Goethe, del 1585, dedicata successivamente al drammaturgo tedesco che, dopo aver visitato l’orto botanico padovano, scrisse una teoria sulla metamorfosi delle piante. Il giardino non è importante solo dal punto di vista scientifico. La sua struttura è un gioiello dell’arte e dell’architettura perché venne concepito in chiave umanistica come un piccolo universo verde protetto da alti muri laterali, con ingressi monumentali di epoca settecentesca. In tal senso ispirò altri giardini in Italia e in Europa, ed è diretta testimonianza della coabitazione tra uomo e ambiente dai tempi di Lucy ai giorni nostri. Motivi per cui rientra tra i beni dell’Unesco dal 1997.