Daniel McVicar: un americano in Italia


Ha raggiunto il successo interpretando Clarke Garrison in “Beautiful”, anche se la sua carriera è costellata da molte pellicole interessanti. Americano d.o.c., si è trasferito in Italia per amore e ci è restato. Qui infatti c’è Pietro, il figlio che adora. Daniel McVicar ha una famiglia numerosa, composta da ben 11 tra fratelli e sorelle, e i suoi genitori hanno sempre consigliato a lui e a tutti di inseguire i propri sogni. Detto fatto, dal Colorado il giovane Daniel si è trasferito in California per studiare prima all’Institute of Arts e poi con i grandi Lee Strasberg, Paul Sills, Stella Adler e Milton Katselis. Anni dopo è volato a Londra per frequentare la celebre Royal Academy of Dramatic Arts. Il suo debutto professionale è coinciso con il momento in cui le soap opera erano un fenomeno internazionale di grande successo: dopo aver recitato con un piccolo ruolo in “Febbre d’amore” il direttore del casting di “Beautiful” lo volle con sé. Dal 1987 al 2005 è stato uno dei protagonisti più amati e seguiti e la serie TV lo ha sicuramente incoronato come star internazionale, ma negli anni Mr. McVicar è riuscito a smarcarsi da quel ruolo per interpretarne altri importanti nell’ambito del cinema d’autore. Oggi l’attore è molto attivo in Italia, dove vive accanto al figlio Pietro e dove recita, ed ha recitato, in serie televisive di successo come “Nemici e Amici” di Giulio Manfredonia, “Il bene e il male” di Giorgio Serafini, “L’ispettore Coliandro” per la regia dei Manetti Bros e “Un medico in famiglia”. Oltre a diversi film italiani ed europei ha presentato la trasmissione inaugurale dei “World Music Awards” 2008 a Monte Carlo ed ha preso parte a talent show come “Notti sul ghiaccio” con Milly Carlucci e l’edizione del 2011 de “L’isola dei famosi”.

Come definiresti Daniel McVicar?
Tutti mi conoscono come il Clarke Garrison di “Beautiful” perché sono stato nel cast per circa 20 anni. Per me questa è stata sicuramente una grande esperienza che mi ha dato un passaporto diplomatico per visitare tanti paesi e conoscere diverse culture; la soap opera è vista infatti in 120 nazioni ed è la più seguita al mondo. A questo punto della mia carriera e della mia vita sono più maturo e scelgo altri tipi di ruoli: tra tutti preferisco quelli che mi incuriosiscono e che mi mettono alla prova. Mi considero un attore europeo più che americano perché sono in Italia dal 2007 e sono sempre più coinvolto nel cinema del continente. In Europa sta aumentando l’attività cinematografica internazionale di lingua inglese che ovviamente sento tagliata su di me. Ho lavorato in Polonia e quest’anno ho partecipato ad alcuni film italiani, tra i quali “Soldato sotto la luna” per la regia di Massimo Paolucci e “The Magic Penguin” di Stefano Milla. Ho inoltre preso parte alla serie tv ticinese “Sport crime”. Jack Lemmon diceva: “ciack is magic time” (il ciack è un momento
magico n.d.r.) e a me piace sempre tantissimo sentire il rumore del ciack!

Quando hai scelto di diventare attore?
A 15 anni. Prima volevo fare l’avvocato o il Presidente degli Stati Uniti (ride n.d.r.). Come attore posso entrare nei panni di tutti e infatti quest’anno sono stato un prete, un re e un marito tradito. Inoltre, a breve girerò un film dove sarò un militare. Mi piace vivere la vita di qualcuno, studiarlo, conoscerlo, assorbirlo fino in fondo. Amo il mio lavoro e la creatività che lo caratterizza. Sono over 60 e per essere un attore performante mi tengo allenato nel fisico, nel corpo e pratico meditazione, fondamentale per ricaricarmi.

Sei stato anche Diabolik.
È vero, nel 2004. È stata un’esperienza divertente. Insieme a Claudia Gerini ero il protagonista della canzone “Amore impossibile” dei Tiromancino. Eravamo Diabolik ed Eva Kant e il video era un omaggio al film del 1968, diretto da Mario Bava. Proprio suo figlio Lamberto ci ha diretti.

Come insegnante di recitazione a chi ti ispiri?
Insegno recitazione all’International Cinema Academy di Milano dove tengo dei corsi brevi. Ho avuto la fortuna di studiare con i più grandi maestri della storia del cinema e sono contento di trasferire il mio know-how agli allievi. Stanislavskij diceva di non posare, ma di essere veri, cercava il naturalismo nella scena e questo ha permesso la crescita del cinema. Il realismo sul set è importante perché in questo modo l’attore non recita, ma è. Nei miei corsi trasmetto queste nozioni. “Lo zoo di vetro” di Tennessee Williams è l’esempio che porto sempre e che io ho appreso grazie alla grande Stella Adler. L’opera parla della fragilità delle persone nel mondo moderno; è di 70 anni fa, ma il tema è attuale ancora oggi perché è una sfida a proteggere la nostra fragilità in questo mondo sempre più esposto alla mercè di tutti.

Oltre che attore, sei anche produttore e regista.
Ho prodotto in passato e ho anche qualcosa in cantiere, ma al momento è top secret, sorry!

Sei membro di MENSA, associazione che include le persone con un elevato quoziente intellettivo. Cosa succede all’interno di questa élite che comprende solo il 2% della popolazione mondiale?
La società fa giochi di matematica e logica per stimolare il cervello. È un po’ come per il Mago di Oz: l’uomo di latta ha sempre avuto il cuore. Tutti abbiamo un cervello, ma in questa associazione la nostra mente è certificata. Il mio quoziente intellettivo mi è stato utile nella vita perché a scuola bastava che seguissi le lezioni per imparare subito e nella mia professione ho facilità a memorizzare le battute.

Prima hai parlato di meditazione. Cosa significa per te?
Credo che sia necessario ripartire da zero ogni giorno e cercare dentro di sé gli elementi basilari della vita. La meditazione è un aspetto importante per non perdere la direzione o farsi vincere dal materialismo, dal consumismo e dalla superficialità che certi mezzi di comunicazione impongono quotidianamente. Avere equilibrio ed essere se
stessi è importante, così come volersi bene.

L’equilibrio passa anche dal cibo. Che rapporto hai con la cucina italiana?
La trovo gustosa e completa perché dalla verdura alla frutta ai formaggi, voi mangiate di tutto! Anche se mi piacciono molto la pasta e la pizza, come a tanti miei connazionali, io apprezzo in particolare le vostre carni. Ad esempio, non rinuncio al brasato, magari accompagnato da un buon vino rosso. Personalmente non sono un grande chef, ma
da vero americano sono bravo alla griglia. Dammi un barbeque e mi esprimo al top!

Rifacendoti alla celebre pellicola di Vincente Minnelli, hai anche firmato la regia dello spettacolo teatrale “Un americano a Torino”. Di cosa si tratta?
La commedia è del 2014 ed ha per protagonisti il buon umore e l’allegria. Sul palco ho ripercorso il viaggio di una star di Hollywood che è alla ricerca costante di qualcosa. Ho voluto che fosse uno spettacolo completo e articolato, composto da canzoni, balli, aneddoti e momenti comici. C’erano anche molti flashback nei quali ero in compagnia di… Marilyn Monroe, Dean Martin e Jerry Lewis.

Quali sono i tuoi propositi per il 2023?
Il primo è essere papà. Adoro mio figlio Pietro, che è ancora un bambino e ha bisogno di essere guidato e protetto. Mi piace trascorrere del tempo con lui e quando posso mi faccio accompagnare agli eventi per condividere insieme il mio mondo. Sicuramente voglio continuare a recitare e, soprattutto, desidero stupirmi per una pellicola interessante. Sto ricoprendo ruoli diversi da quelli di un tempo che mi piacciono proprio perché mi stimolano e mi spronano a creare.


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