Massimo Lopez: Il doppiaggio? È un’arte importante


Di Massimo Lopez sappiamo tutto. La sua brillante carriera è infatti costellata di successi. Pochi sanno però che il comico è anche cantante. Perché la sua vita professionale è caratterizzata da creatività e divertimento, in qualsiasi forma espressiva.

Massimo Lopez è un artista poliedrico. Mentre i figli degli anni Settanta sanno chi sia e conoscono il Trio comico composto da lui, Anna Marchesini e Tullio Solenghi, i Millenials hanno bisogno di una premessa. L’esordio, nel 1982, di questi artisti della risata è stato l’inizio di una serie di successi. Ospiti di trasmissioni televisive cult negli anni Ottanta come “Domenica in” e “Fantastico 7”, hanno partecipato anche a tre edizioni del “Festival di Sanremo”. Poliedrici e instancabili hanno scritto, diretto e interpretato numerosi spettacoli teatrali assicurando sempre il sold out. Tra il 1994 e il 1995 hanno poi intrapreso strade diverse, pur continuando a collaborare in varie occasioni, e anche dopo la scomparsa di Anna Marchesini nel 2016 Lopez e Solenghi hanno mantenuto un forte legame artistico e personale. Lui, Lopez, è un imitatore imbattibile e dal 2007 è al Morning Show “La carica di 101” in onda su R101 dove ci fa ridere con le sue voci che si rifanno ad esponenti della politica e dello spettacolo. A teatro ha invece portato in scena insieme con Tullio Solenghi “La strana coppia” di Neil Simon per la regia di Gianni Fenzi e da solo il tributo a Frank Sinatra “Ciao Frankie” prodotto da Alessandro Lopez per la Stemal Srl con la regia di Giorgio Lopez che è stato rappresentato anche a Miami e tanti altri spettacoli di successo. Con l’amico di sempre ha firmato il tour “Massimo Lopez” e “Tullio Solenghi Show” del 2017 e 2018 e “Dove eravamo rimasti” del 2023. Sul piccolo schermo lo abbiamo visto sia in serie TV come “Un medico in famiglia” e “Compagni di scuola” sia ospite di numerosi programmi: da “Scherzi a parte” a “Buona domenica”, da “Ballando con le stelle” a “Che tempo che fa” dove dal 2021 è ospite fisso insieme con il collega. La sua lunga e camaleontica carriera gli ha fatto vincere il Ciack d’oro e il premio Leggio d’oro Alberto Sordi, ma non è finita qui. Nel 1980 Massimo Lopez fu il primo a dare la voce italiana a Robin Williams nella pellicola “Popeye – Braccio di Ferro” di Robert Altman e negli anni ha doppiato tantissimi attori tra i quali Andy García in “Mamma Mia! Ci risiamo”, Bruce Lee ne “L’ultima sfida” di Bruce Lee, Colin Firth in “A Single Man” e Willem Dafoe in “La spia – A Most Wanted Man”. Senza dimenticare Homer Simpson, il papà di una delle serie animate più famose del mondo. Plus Magazine lo ha intervistato in occasione di un corso di doppiaggio tenuto con Monica Ward allo Spazio Mov-Art di via Goito 13/A a Torino fondato da Alessio Schiavo.

Quando ha scoperto la vis comica?
Già nella pancia di mamma dove prima c’era mio fratello Giorgio, che è più grande e che anche lui ha ereditato l’umorismo e la voglia di fare spettacolo di nostra madre. Eravamo cinque maschi e per tenerci buoni lei cantava e creava degli spettacoli per noi. In effetti non si è sorpresa quando Giorgio ed io abbiamo deciso di fare gli attori e forse lo
avrebbe fatto anche lei.

Tra le sue imitazioni più note ci sono quelle dei Papi. Come è nata l’idea?
Un tempo sembrava irriverente imitare un Papa o un Presidente della Repubblica o un Presidente del Consiglio. Mi ricordo che vidi Sandro Pertini al telegiornale e pensai che lo avrei impersonato, così presi l’elenco telefonico e contattai il Quirinale. Mi passarono Antonio Maccanico che mi ringraziò perché chiesi il permesso. Mi disse che potevo farlo, ma con buon gusto e che di questo non aveva dubbi. A quel punto pensai che l’autorizzazione, con le stesse regole, sarebbe valsa anche con il Pontefice. Sono stato il primo in Italia ad imitare il Santo Padre.

Secondo lei oggi è cambiata la comicità?
Un tempo ci si basava sui modelli precedenti, attori teatrali o televisivi di grande spessore. La TV era l’unico mezzo a disposizione per vedere uno spettacolo per cui era un punto di riferimento affascinante. Oggi non è più così e i giovani non sanno a chi ispirarsi perché i loro modelli sono persone comuni che vedono qualche istante su TikTok. Per me la comicità è a lungo respiro, non è la barzelletta o un reel. Non amo neanche le sfilate di comici nelle trasmissioni televisive perché mi annoiano, preferisco vederne uno solo che però sa far davvero ridere.

Il suo debutto a teatro è stato con “Il fu Mattia Pascal” di Pirandello. Come è passato dai grandi classici alla commedia?
Ero nel team del Teatro Stabile di Genova con Alberto Lionello che è stato l’attore che mi ha insegnato la comicità grazie alla commedia dell’arte di Goldoni. Ho imparato il gusto dell’improvvisazione e ho capito che la vis comica è matematica perché devi saper rispettare tempi rigidi senza sgarrare. La stessa battuta, detta un attimo prima o un attimo dopo non funziona. Questo l’ho scoperto facendo tanti anni di teatro classico dove ho perfezionato il talento che pensavo di avere. Ai ragazzi dico sempre che ci vuole tempo per diventare attori.

Radio, televisione, teatro. Quale sente più nelle sue corde?
Sicuramente il teatro. Amo lo spettacolo dal vivo e il contatto con gli altri. Non rinnego la TV, ma stare sul palco permette lo scambio diretto, consente di cogliere cosa veramente assimila chi è seduto davanti a te. Tu senti da quello e migliori sempre di più. Noi che giriamo per l’Italia abbiamo la sensibilità di capire come funziona lo spettatore e notiamo che al nord il pubblico è più caloroso, forse perché è trasversale: è composto dai nonni, ma anche dai genitori e dai figli.

Parliamo di doppiaggio: qual è stato il personaggio più difficile e quale il più divertente?
Non è facile scegliere. Sono passato dalla commedia a pellicole come “A Single Man” che mi è piaciuto fare perché bisognava trattenere le emozioni ed evidenziarle al contempo. C’è stato un grande lavoro di ricerca per entrare nell’attore. Mi diverte molto doppiare perché ogni volta entri in una testa e in un ruolo diverso per cui la recitazione ha un ruolo chiave.

A proposito del corso di doppiaggio di Torino, lei e Alessio Schiavo vi conoscete da tempo?
Dovevo preparare lo spettacolo teatrale “Varie-età” e avrei dovuto fare dei provini ad alcuni attori, ma in realtà ne feci uno solo ad Alessio che avrebbe recitato come mia spalla. L’ho trovato ironico, dotato di intelligenza creativa, consapevole dei tempi comici che sono la qualità necessaria per fare questo mestiere. Alessio è un attore talentuoso, ottimo cantante e attento regista. Inoltre sa ascoltare e cogliere immediatamente qual è il ruolo nel quale deve immedesimarsi. Gli dissi “ti faremo sapere”, ma avevo già scelto. Però lo feci aspettare fino alla sera e tramite amici feci in modo di incontrarlo casualmente. Passai nel locale dove si trovava e quando mi vide impallidì e mi guardò con aria interrogativa. Io la presi alla larga e lo informai che non era stato male, ma il mio tono non sembrava convinto. A un certo punto gli dissi: ti ho fatto aspettare tutto questo tempo perché attendere è importante e adesso sappi che tu avrai questo ruolo, anche se è stato tuo da subito. Abbiamo lavorato insieme per due anni ed è stato co-protagonista dello spettacolo. In più siamo diventati amici. Ho accettato di partecipare a questo corso perché Mov-Art è una scuola seria, Alessio un brillante docente e poi perché amo insegnare il doppiaggio: è un’arte importante, soprattutto in Italia dove abbiamo un’ottima reputazione.

In “Noi” ha duettato con Mina. Un altro modo di usare la voce?
Essere stato scelto e cantare con lei è stata l’esperienza che mi ha emozionato di più.