Tim Burton: a Torino una mostra che racconta il suo mondo


Per la prima volta in Italia “The World of Tim Burton”, una mostra che presenta più di 550 opere d’arte originali e alcune inedite. Dove? Al Museo Nazionale del Cinema di Torino fino al 7 aprile 2024.

Un genio creativo. Non ci sono altri termini per definire Tim Burton. Conosciuto dai più come regista, sceneggiatore e produttore che ha fatto la storia del cinema, è in realtà anche scrittore, animatore e disegnatore. Non stupisce quindi che il capoluogo piemontese ospiti, in anteprima italiana, “The World of Tim Burton”, un’esposizione dal grande valore artistico e culturale. Proprio come un’autobiografia per immagini, l’allestimento creato nella Mole Antonelliana ripercorre le tappe salienti di questo poliedrico artista dalle origini della sua immaginazione visiva sino ad oggi. Suddivisa in nove sezioni tematiche, la mostra immersiva presenta oltre 500 esempi di opere d’arte originali, raramente o mai viste prima, dagli esordi fino ai progetti più recenti, passando per schizzi, dipinti, disegni, fotografie, concept art, storyboard, costumi, opere in movimento, maquette, pupazzi e installazioni scultoree a grandezza naturale. Ideata e co-curata da Jenny He in collaborazione con Tim Burton, e adattata da Domenico De Gaetano per il Museo Nazionale del Cinema, l’esposizione termina il 7 aprile del 2024 e ad inaugurarla, lo scorso ottobre, c’era lo stesso Tim Burton. Di lui come regista sappiamo tutto o quasi: visionario e gotico, nelle sue pellicole ritroviamo spesso ambientazioni tanto fiabesche quanto dark nelle quali il protagonista è simbolo di emarginazione. Le pennellate con le quali però caratterizza i personaggi fanno di questi outsider dei veri eroi alternativi di un tempo sospeso, capaci di trasformare i suoi film da lungometraggi a veri cult movie amati da tutte le generazioni. Basti pensare ad opere come “Edward mani di forbice”, “La fabbrica di cioccolato”, “Ed Wood”, “Il mistero di Sleepy Hollow”, “Big Fish” e ancora i due “Batman”, “La sposa cadavere”, “Nightmare Before Christmas” e “Sweeney Todd” per capire come mai alla Mostra del cinema di Venezia del 2007 Tim Burton abbia ricevuto un Leone d’oro alla carriera. Il più giovane regista della storia ad aver conseguito questo prestigioso riconoscimento. Il segreto del suo successo? La perfetta alchimia che ha saputo creare tra la sua geniale regia, la visione filmica visionaria e la scelta di collaboratori che hanno saputo interpretare il suo estro tanto unico quanto affascinante. Tra questi il compositore Danny Elfman, che ha lavorato in quasi tutti i suoi film, e attori del calibro di Johnny Depp ed Helena Bonham Carter, protagonisti di molte pellicole indimenticabili. E a proposito di pellicole indimenticabili, durante l’intervista rilasciata alla stampa per l’inaugurazione della mostra, Burton ha ricordato che è in fase di produzione il sequel di “Beetlejuice-Spiritello porcello” girato 35 anni fa. A noi non resta che attendere trepidanti la sua uscita

Il Museo Nazionale del Cinema di Torino espone la mostra “The World of Tim Burton”. Un bel traguardo?
Sì, anche se non avrei mai immaginato che un giorno sarei stato protagonista di un’esposizione. Negli anni i miei disegni hanno viaggiato un po’ ovunque nel mondo – sono stati a Taiwan, nella Korea del Sud, in Messico, in Cina, in Brasile e anche al MoMa di New York – adesso sono a Torino e ne sono davvero felice. Questa esperienza mi ha permesso di conoscere tante persone che amano il genere e mi ha fatto ritrovare disegni che non ricordavo di aver realizzato.

Il disegno ha sempre fatto parte della sua vita?
Da piccolo, ma anche dopo quando sono diventato un ragazzo, mi piaceva disegnare anche perché non parlavo molto e quindi comunicavo attraverso i bozzetti. Era una sorta di terapia, un modo per esprimermi e per portare fuori tutto il mondo che avevo dentro. In realtà disegno ancora oggi, anche se non mi sono mai reputato bravo. Però non mi importa ricevere critiche perché per me questa è una passione.

A chi o a cosa si ispira nelle sue tavole, come nei suoi film?
Osservo la realtà. Tutto stimola la mia immaginazione, anche se nel cinema la parte più importante è la fantasia: realtà e fantasia, per me, si compenetrano.

Quando ha capito che la regia sarebbe stata la sua vita?
Da giovane mi divertivo a creare cortometraggi in Super 8, ma non avrei mai pensato di darmi alla regia. Ero più concentrato a vivere giorno dopo giorno. Non ho avuto un percorso lineare, per cui, quando ho iniziato in questo settore, mi sono sentito davvero molto fortunato.

Preferisce la pellicola o il digitale?
Mi piace molto la pellicola e le sensazioni che regala. Forse però il digitale restituisce più energia senza rinunciare alle emozioni della pellicola.

Che cosa significa per lei girare un film?
Vuol dire far parte di una sorta di grande famiglia dove tutti gli artisti collaborano per un solo obiettivo. È una sensazione molto bella. È un po’ quello che Federico Fellini è stato capace di esprimere così bene nei suoi lavori. Lui ha saputo catturare lo spirito di che cosa significhi fare un film e per questo io l’ho ammirato e lo ammiro ancora oggi.

Ci sono altri registi italiani che le piacciono?
Mario Bava è stato il primo con cui mi sono identificato e ho sempre adorato i suoi horror.

Tra i tanti suoi personaggi ce n’è uno al quale è particolarmente legato?
Mi piace Mercoledì perché è molto simile a me. Anche io sono stato un adolescente problematico. Ero un outsider e un emarginato e, francamente, questa sensazione non mi abbandona neanche oggi. In generale comunque mi diverto ad identificarmi con i miei personaggi. Cerco sempre qualcosa di personale nelle storie che voglio raccontare in modo da regalare emozioni alle persone e stabilire con loro un rapporto.

A proposito di Mercoledì, quando vedremo la seconda stagione?
Abbiamo cominciato a scriverla, ma lo sciopero degli sceneggiatori ci impone di gestire una serie di problemi. Spero che si risolva tutto velocemente perché, come ho detto, mi sento legato alla protagonista della serie.

A quando, invece, un altro lungometraggio?
Ho ancora molte idee e, soprattutto, ho ancora tanta voglia di fare cinema. Gli spettatori ne sono innamorati e fortunatamente lo streaming non l’ha ancora sostituito del tutto.

Quale futuro immagina per la settima arte?
Non nascondo di essere un po’ preoccupato, ma finché le persone continueranno ad amare l’idea di andare in sala, io sono tranquillo.

Dal protagonista di “Edward mani di forbice” a Oompa Loompa de “La fabbrica di cioccolato”, i protagonisti dei suoi lungometraggi sono il simbolo della diversità. Secondo lei essere “altro” è un pregio?
Secondo me sì perché è proprio nell’eccezione che risiedono il senso della creatività e della vita.

Spesso nei suoi lavori aleggia un senso di paura. Di cosa ha terrore Tim Burton?
Da sempre mi spaventano le cose normali. Ad esempio, da ragazzino avevo paura di alzarmi per andare a scuola.

Lei è un regista conosciuto in tutto il mondo: che rapporto ha con la fama?
Essere famoso, o raggiungere il successo con un film, mi permette di avere i mezzi per proiettarmi su un altro lavoro. Preferisco tenere un basso profilo e concentrarmi sui miei progetti. Per questo non amo particolarmente i social media: ci si deve mostrare troppo e io non amo stare sotto i riflettori.