Si è raccontato nelle canzoni, come autore, regista e anche poeta. Ora la narrazione prosegue con “Ligabue – È andata così”, la docuserie tv che ripercorre i trent’anni di vita del rocker. Nata durante la pandemia, è on line su Raiplay.
On air. Una radio, un microfono, l’amico attore Stefano Accorsi per parlare di sé attraverso un dialogo dal tono scherzoso e intimo, con la regia di un big del piccolo schermo come Duccio Forzano. Tra istantanee di storia, dalla caduta del Muro ai Mondiali del ’90, il racconto ha sullo sfondo la via Emilia, Coreggio, Campovolo, i luoghi del cuore. Al centro di tutto, naturalmente, le canzoni che sono di tutti e che sono davvero tante.
“Non è tempo per noi”, “Balliamo sul mondo”, “Sogni di rock’n roll”, “Marlon Brando è sempre lui”. Inizia su queste note “Ligabue – È andata così”, la docuserie prodotta da Friends & Partners e Zoo Aperto, che in sette capitoli, a partire dalla fine degli anni Ottanta, tra aneddoti, curiosità e ricordi, ripercorre la carriera di Luciano Ligabue. Senza dimenticare un altro percorso del rocker, quello dedicato ai film e ai libri, per evidenziare lo sguardo riflessivo dell’artista.
Un regalo, lungo trent’anni, per i tanti fan di Liga. Un’occasione per riascoltare le canzoni in un racconto fatto di immagini che ritraggono anche i fatti di attualità e il costume degli anni, momenti di vita che per molti di noi sono coincisi con un periodo così ricco di sussulti emotivi come quello dell’adolescenza.
Come si può definire questo progetto?
Con un aggettivo: grosso, perché dentro c’è tanta ciccia. Ecco il sostantivo “ciccia” rende bene l’idea. Ci sono anche tanti ospiti che con le loro testimonianze hanno commentato i fatti e anche i processi psicologici che ci sono stati dietro. Il racconto era tutto a copione ma una parte è stata poi lasciata all’improvvisazione. Mi ha aiutato tanto il fatto che a farmi le domande ci fosse un amico e non un giornalista.
Primo capitolo: gli inizi. Erano gli anni dei primi videoclip, dell’avvento sconosciuto di Internet, del bar come punto di ritrovo giovanile. Ligabue inizia a far musica a 26 anni, dopo un passato sui campi a raccogliere frutta, in fabbrica, a far conti come ragioniere, a lanciare la musica in radio come deejay e ad organizzare i concerti degli altri. Poi l’approdo nella Milano degli anni Novanta con la sua band.
Il primo capitolo è dedicato agli esordi, dai primi concerti con molto materiale inedito al boom e al successo che nessuno si aspettava. Arrivati a Milano dalla campagna abbiamo capito subito che dovevamo correre. Ci immaginavamo studi con grandi finestre, muri di amplificatori e assistenti vestite all’ultima moda e invece ci siamo ritrovati in un sotterraneo e in tre giorni dovevamo registrare tutto il disco.
Attraverso brani come “Gli ostacoli del cuore” e “A modo tuo”, cantati da Elisa, c’è il Liga papà, così come in altre canzoni troviamo Luciano che perde il padre o l’amico di sempre. Raccontarsi è complicato?
Io vengo da una scuola di pensiero che dice che le canzoni dovrebbero parlare da sé. Razionalmente so, però, che questa scuola di pensiero ha un che di codardo e, di tanto in tanto, bisogna esporsi.
Negli anni, ci sono tre, quattro aggettivi che mi sono stati appioppati. Uno di questi è “riservato”. Ho voluto fare una puntata per smentire questa mia descrizione. Racconto i lutti, le separazioni, i nuovi amori, le cose più intime di me.
Nella serie non ci sono solo i successi, i fan adoranti, gli stadi stracolmi, ma anche gli inciampi, le zone d’ombra, le crisi.
Ne ho vissute tre. La prima dopo il terzo album: sembrava che tutto il successo ottenuto fino a quel momento fosse improvvisamente sparito.
La seconda è stata personale, alla fine degli anni ’90: non riuscivo a gestire la popolarità e avevo anche pensato di ritirarmi.
Poi l’ultima legata a “Made in Italy”, un progetto molto articolato tra album e film. Mi sono ritrovato a impersonare un’altra figura ed era la prima volta e durante le riprese ho perso la voce. Ho avuto la sensazione che non sarebbe più stata quella di prima.
Come si va avanti nei momenti di difficoltà?
La stella polare per me è sempre stata una: il fatto che io non potevo rinunciare a fare concerti. Gli aspetti positivi del successo sono tanti e come si dice dalle mie parti “mai lamentarsi del brodo grasso” ma i concerti mi danno una carica rigenerante. Non potrei stare senza salire sul palco e vedere sotto che la gente che si emoziona con me.
Nelle immagini si vede come sia rimasto sempre vivo e forte il legame con il territorio emiliano.
Abbiamo girato tutto lì da me, a Correggio. Sono sempre rimasto a vivere nel mio comune anche se il lavoro mi avrebbe potuto spingere ad andare altrove, per esempio a Milano.
Che effetto fa veder raccontare trent’anni di vita in una serie?
Appassionante. Impressionante è stato rivedere il numero di cose fatte, dalle canzoni, al film, libri, romanzi. Il Covid mi ha costretto a guardarmi dietro. Rivedermi mi ha dato un enorme piacere ma pure nostalgia. Rivedermi con 30 anni di meno mi ha messo tante emozioni. Questo mestiere è pieno di sollecitazioni emotive. Il Covid, nella sua tragicità, impendendomi di andare avanti mi ha costretto a guardare indietro e a fare i conti con quello che avevo fatto. Rivedere tante cose insieme mi ha fatto piacere ma ho provato anche un po’ di tenerezza.
In trent’anni di vita si cambia e tanto. Quale cambiamento ha generato la sollecitazione emotiva maggiore?
I cambiamenti che non governiamo sono quelli di cui siamo meno giudici affidabili nel rilevarli.
Quando scrivi ti senti responsabile nei confronti di chi ti segue e confida in te, puoi emozionare, far semplicemente ballare ma anche far riflettere ed è con quelle reazioni che impari a fare i conti tutti i giorni.
A causa dell’emergenza sanitaria, purtroppo, quello davanti a noi è un futuro ancora incerto. Gli unici punti fermi rimangono la grande festa che si sarebbe dovuta fare nel 2020, a Campovolo e un nuovo progetto sempre con Stefano Accorsi, svelato nell’ultimo episodio della serie tv.
Reggo all’astinenza da palco progettando il grande concerto di Campovolo, rimandato per Covid. Dovevamo festeggiare i miei 30 anni di carriera nel 2020, lo faremo il 4 giugno 2022. Sarà un anniversario un po’ balordo ma la festa sarà come dovrà essere. Non vedo l’ora di vivere questa nuova ripartenza e di risalire sul palco. Per me è una sorta di dipendenza, sono tossico dell’esperienza live. Ora vengo da un’astinenza lunghissima, mai capitata prima: attendo con ansia giugno.
Come sarebbe andata se non fosse andata così?
Nessuno può sapere cosa succede con i se.
Credo che avrei cambiato molti lavori, così come facevo prima di intraprendere la carriera musicale.
È andata così e ci viene da dire: “Meno male”.
“Intanto io scrivo canzoni ed è tutto qui… e poi andrà come andrà” canta Ligabue nel brano che dà il titolo alla serie.
È vero, è andata così e, ne siamo certi, non finirà qui.