Tecnologia e sostenibilità un connubio necessario
Da alcuni anni il termine “sostenibilità” è sempre più pronunciato in eventi e convegni. A questa espressione si associa spesso la definizione “Economia Circolare”. E’ un segno dei tempi. Dopo la crisi del 2008-2010, l’aumento delle disuguaglianze e il deterioramento dell’ambiente, ci si è accorti che la crescita economica, applicando l’attuale modello di sviluppo, non è più sostenibile. La tecnologia può essere un valido strumento per riconfigurare l’intero modello di sviluppo rendendolo sostenibile nei confronti dell’ambiente, senza pregiudicare la crescita del benessere. Di questi argomenti abbiamo parlato nel corso del Festival dell’Economia di Trento, con il Professor Enrico Giovannini, portavoce di ASviS nonché exPresidente ISTAT e componente della Com-missione dell’ILO per il Futuro del Lavoro
Economia sostenibile
L’economia sostenibile è una moda o è una realtà a cui bisogna veramente guardare in futuro? La sostenibilità è una chimera o è veramente qualcosa su cui bisogna investire nei prossimi anni per non rimanere bloccati nei meccanismi di mancata crescita?
Non è una chimera, anzi direi che non solo è l’unica economia degna di essere promossa, perché un’economia insostenibile prima o poi denuncia tutti i suoi limiti, con tutti i danni che abbiamo già visto in tutto il mondo, ma è una possibilità concreta oggi, non è un sogno del futuro. Nell’ambito del Festival dello Sviluppo Sostenibile, che come ASviS organizziamo or-mai da tre anni, si è svolta la giornata dedicata alle imprese ed alla finanza. Ebbene, i leader delle principali organizzazioni imprenditoriali hanno confermato chiaramente la svolta che è avvenuta nell’ultimo anno sull’argomento: per molte imprese, da un generico interesse per “essere buoni”, il fare le cose meglio, sia sul piano ambientale che sociale, si è passati ad un piano di esecuzione reale, anche grazie alle nuove tecnologie. Le nuove tecnologie permettono oggi di effettuare un vero salto di qualità e di risparmiare costi.
Esiste quindi un elemento fortemente competitivo alla base di questa trasformazione del modello economico, certamente sostenuto anche dal cambiamento della finanza internazionale che si sta spostando verso gli investimenti responsabili e sostenibili.È una scelta non solo culturale, ma anche e soprattutto economica: come dico sempre è un’ottima notizia che la finanza si occupi di questi temi, ma allo stesso tempo è una pessima notizia, perché significa che anch’essa è preoccupata per il futuro degli investimenti e il rischio di“crash”, nel caso in cui si investisse solamente nel vecchio modello, comincia ad essere tangibile. Tutto ciò ha creato un grande dibattito nel mondo della finanza e delle imprese. Devo dire che l’Europa è all’avanguardia non solo in termini di masse amministrate, ma anche in termini di regolamentazione finanziaria rivolta alla Finanza Sostenibile.
Asvis
In questo ambito qual è il ruolo di ASviS?
Noi oggi riuniamo circa 240 soggetti della società civile, di natura molto diversa: associazioni imprenditoriali, i sindacati, le associazioni ambientaliste, quelle di volontariato, le Regioni, i Comuni, le Fondazioni.Siamo la più grande coalizione della Società Civile su questo argomento mai realizzata in Italia. Il nostro compito è di far dialogare questi soggetti, attraverso delle azioni concrete, intorno ai 17 obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Agenda 2030 adottati il 25 settembre 2015 nel vertice delle Nazioni Unite. Ad esempio, sono tre anni che produciamo il Rapporto sull’Italia, che dopo gli aspetti analitici, presenta delle proposte concrete, frutto del lavoro dei nostri 20 gruppi di studio, che raccolgono più di 350 esperti appartenenti alle associazioni di cui abbiamo parlato. Nel mese di maggio, nell’ambito del Festi-val sullo Sviluppo Sostenibile (www.festival-svilupposostenibile.it) 10 associazioni imprenditoriali, compresa la Febaf (Banche, Assicurazioni e Finanza), hanno firmato un documento congiunto che stabilisce delle priorità, chiedendo al Governo l’apertura di un tavolo di concertazione su questi temi.
In occasione dell’evento in Roma dedicato alla transizione energetica, le associazioni ambientaliste, le imprese e i sindacati hanno firmato un documento congiunto per far sì che questa transizione indispensabile sia anche giusta e inclusiva. A Udine è stato presentato il Manifesto dei Rettori, con l’impegno dell’Università su questi temi. Sono tutti elementi di un puzzle che vanno a ricomporsi.Lo stesso Governatore della Banca d’Italia Visco, nell’evento di apertura del Festival, ha tenuto un discorso che definirei “storico” dedicato alle istituzioni finanziarie, dichiarando che il cambiamento climatico non solo è reale ma avrà un impatto talmente ampio in termini di costi che, o il sistema finanziario si attrezza in tempo, o questi costi potrebbero mettere a rischio la stabilità del sistema finanziario stesso. Non solo per l’Italia ma anche per l’Europa e per il mondo intero. Il cambiamento di mentalità dei risparmiatori su questi temi è molto rapido e Visco ha incoraggiato le istituzioni finanziarie, che sono in ritardo nell’offerta di strumenti finanziari dedicati, ad andare in questa direzione.
Sviluppo sostenibile
ASviS ha anche presentato con Istat una serie di indicatori per “misurare” lo sviluppo sostenibile: qual è l’obiettivo di questo lavoro?
L’Istat ha svolto, negli ultimi due anni, un ottimo lavoro, con la messa a disposizione di una serie molto dettagliata di indicatori. Come ASviS, lavoriamo ad un livello “più alto”, aggregando questi indicatori secondo i 17 Goal di sviluppo sostenibile, per renderli più fruibili e comprensibili al pubblico. Nessuno, infatti, è in grado di capire da 160 indicatori cosa stia veramente accadendo. D’altra parte, non ha senso aggregare tutto in un unico indice. Critichiamo spesso il PIL che dovrebbe, con un solo numero, rappresentare la realtà economica e non possiamo fare lo stesso errore con lo Sviluppo Sostenibile. Come ASviS, calcoliamogli indicatori di Sviluppo Sostenibile per tutti i paesi europei, per l’Italia e per tutte le regioni italiane: è un lavoro complementare rispetto a quello che fanno l’Istat e Eurostat.
Economia circolare
Come la tecnologia sta giocando un ruolo importante, in positivo ma anche in negativo nell’ambito dell’Economia Circolare? Disponiamo oggi di tecnologie innovative che possono cambiare radicalmente il nostro modello economico?
La risposta è sì, ma anche no. Come ho scritto nel mio libro “L’utopia sostenibile”, abbiamo bisogno di tre ingredienti chiave per portare il mondo sul sentiero della sostenibilità. Uno è la tecnologia, unito ad un cambiamento di mentalità e una governance, cioè il modo con cui organizziamo processi molto complessi, efficace. Le tecnologie stanno facendo passi da gigante, dobbiamo ammetterlo, ma oggi non abbiamo ancora le soluzioni globali per problemi come il fabbisogno energetico a basso costo, accessibile e non inquinante. Non tanto le soluzioni “micro”, quelle le abbiamo.
Ciò che manca sono le soluzioni “macro” e a costi accettabili. Già oggi in Europa produrre energia attraverso le fonti rinnovabili costa meno che farlo attraverso le fonti fossili, ma non è ancora così in altre parti del mondo. Le tecnologie non sono solo quelle energetiche, ma stanno innervando tutti gli aspetti della nostra vita. In questo senso ci sono nuovi rischi: l’automazione metterà a rischio la stabilità e sostenibilità sociale. Si perderanno moltissimi posti di lavoro: anche se nel lungo periodo se ne creeranno altrettanti, il problema per le nazioni sarà quello di gestire la transizione.
L’uso delle tecnologie digitali è fondamentale per la gestione dell’Economia Circolare: mettere negli oggetti dei chip che traccino il loro “ciclo di vita” è ormai pratica comune in molti settori. Così come l’agricoltura di precisione consente oggi il risparmio di grandi quantità di acqua. Accanto a questo, l’uso delle tecnologie digitali crea nuovi monopòli e consente alle grandi aziende di gestire in modo non trasparente le informazioni raccolte. Pensi alle automobili moderne, non necessariamente quelle elettriche.Le nuove automobili oggi raccolgono una quantità incredibile di dati. Dati sul nostro peso, sulle nostre abitudini, sullo stile di guida. Queste informazioni finiscono alle imprese produttrici e noi non sappiamo come vengono utilizzate.
Le faccio un esempio: oggi, grazie ai sensori, la nostra auto sa se una gomma si sta sgonfiando, se il motore si comporta correttamente, se ci sono problemi alla batteria, eccetera. Questi dati raccolti dalla casa costruttrice sono messi a disposizione dei propri meccanici, ma non ai meccanici delle altre case, creando un problema di concorrenza sleale. Sono infiniti gli esempi che possono essere fatti. Per questo nel Rapporto della Commissione ILO sul Futuro del Lavoro abbiamo messo in guardia da questi rischi proponendo una serie di politiche per far sì che il lavoro sia al centro della nuova economia e del nuovo modello di sviluppo, perché dobbiamo ricordare che lo Sviluppo Sostenibile non è solo una questione ambientale, ma anche economica, sociale ed istituzionale.
Fondi di investimento e fondi pensione
In base alle risultanze dei lavori svolti fino ad oggi cosa potrebbe suggerire ai Fondi di Investimento e ai Fondi Pensione in relazione alle tempistiche da adottare per completare questa transizione alla nuova economia: ritiene che vi sia ancora tempo per le scelte?
No, non c’è più tempo. La transizione durerà anni e prima si comincia meglio sarà. I Fondi Pensione, così come altri investitori istituzionali hanno un ruolo cruciale nell’orientare le scelte delle imprese. Faccio riferimento a fatti molto concreti. Nel 2016 il Governo italiano – ultimo in Europa – ha recepito la Direttiva sulla Rendicontazione non finanziaria. Nonostante il nostro invito ad avere un approccio coraggioso, sull’onda delle pressioni del mondo imprenditoriale – tre anni fa – il numero dei soggetti obbligati ad effettuare la Rendicontazione non finanziaria è stato molto limitato: 220 soggetti di grandi dimensioni.
Per darle un’idea, la Spagna sotto il Governo Rajoy ha commesso lo stesso errore, ma ora se ne è resa conto e ha invertito la rotta, obbligando un numero vasto di aziende di medie dimensioni alla Rendicontazione non finanziaria. In Italia chi a suo tempo ha fatto lobby per mantenere un numero limitato di soggetti obbligati, oggi si è pentito: “pensavamo fosse un fattore di costo – mi hanno detto – e ora abbiamo capito che era una questione di competitività”.
Oggi la finanza sostenibile non si avvicina più ad una impresa che non effettui una Rendicontazione non finanziaria, tant’è vero che, in Italia, vi sono imprese che anche se non obbligate, effettuano questa rendicontazione su base volontaria. Se tutti i Fondi Pensione dichiarassero di investire solo in aziende che effettuano tale rendicontazione avremmo una notevole accelerazione verso un’economia sostenibile. Secondo me questo è l’impegno che un Fondo Pensione serio dovrebbe prendere. Il secondo aspetto è quello della rendicontazione delle imprese che contribuiscono al Fondo Pensione stesso. Se queste aziende hanno milioni di lavoratori, esse potrebbero diventare importanti agenti di cambiamento culturale, così da aiutare i lavoratori a scegliere i comparti in cui investire o non investire: anche questo determinerebbe un’accelerazione verso un’economia sostenibile.
Futuro lavorativo
Un’ultima domanda sul Futuro del Lavoro. Ormai tutti gli studi più approfonditi in merito ci dicono che le tecnologie porteranno ad una rapida riduzione dei posti di lavoro e che la creazione di nuovi posti di lavoro non sarà così rapida nel compensare la scomparsa dei vecchi. A suo avviso questo cambiamento sta avvenendo davvero così velocemente e quale sarà la soluzione a questa rivoluzione?
Questo rapido cambiamento sta già avvenendo e il settore bancario è uno di quelli impattati più velocemente. Non a caso le banche stanno trasformando le agenzie in luoghi di consulenza e non più di servizi fruibili già quasi totalmente online. Ma questo richiede un cambiamento radicale nelle competenze delle persone. Ed è esattamente il punto principale che abbiamo sottolineato nel nostro Rapporto sul Futuro del Lavoro dell’ILO. Abbiamo, infatti, proposto l’istituzione ad un nuovo diritto: quello alla formazione continua nell’arco di tutta la vita lavorativa. Non abbiamo semplicemente incoraggiatogli Stati a fare più “politiche” formative, ma a riconoscere questo nuovo diritto soggettivo perché a nostro avviso è l’unico elemento che – forse – consentirà alle persone di adattarsi ai cambiamenti repentini che avverranno nei prossimi anni.
Quando nel Rapporto diciamo che serve “un approccio centrato sull’uomo” parliamo di formazione continua e di un insieme di diritti minimi che dovrebbero essere riconosciuti a tutti i lavoratori, parliamo di “investimento in capitale umano” come l’elemento che va assolutamente incentivato anche attraverso strumenti fiscali. Il problema è che oggi, ogni euro speso informazione riduce il profitto a breve termine perché è un costo e non un investimento: è una delle distorsioni del nostro attuale sistema contabile dovuto al fatto che le persone non sono considerate “patrimonio” dell’impresa. I Fondi Pensione potrebbero chiedere alle imprese su cui investono un impegno forte in questa direzione, sapendo che le aziende italiane hanno una sensibilità inferiore sulla formazione rispetto ai loro competitori europei