Roberto Baggio si racconta nel film “Il divin codino”


È l’uomo oltre il mito. Un personaggio la cui carriera sportiva è nota a tutti, a prescindere dalle fede calcistica.  A lui è dedicato il film “Il divin codino”.

 Anche chi, come la sottoscritta, non segue il calcio conosce Roberto Baggio. Le sue vicende, un alternarsi di successi e pause forzate per i tanti incidenti sul campo, hanno fatto di lui un eroe moderno che cade e si rialza. Un esempio per i giovani targati Anni ’90. Il centrocampista o attaccante, a seconda dei ruoli, non ha mai creato un brand di se stesso e non si è mai concesso molto ai media, ma ha saputo costruire un alone di stima e rispetto attorno a sé. Eppure di motivi per essere di più sotto i riflettori ne avrebbe avuti tanti: Raffaello, così chiamato per l’eleganza del suo stile di gioco, ha ricevuto il Pallone d’oro nel 1993, nel ‘99 è stato sedicesimo (primo italiano) nella classifica dei migliori calciatori del XX secolo pubblicata da World Soccer, nel 2004 Pelé lo ha inserito in FIFA 100, la lista dei 125 più grandi calciatori viventi, nel 2011 è stato introdotto nella Hall of Fame del calcio italiano e nel 2015 nella Walk of Fame dello sport nazionale. Per celebrarlo Netflix, in associazione con Mediaset, firma “Il divin codino”: un film prodotto da Fabula Pictures in associazione con Trentino Film Commission e con la sostenibilità ambientale T-Green Film in collaborazione con la Direzione Generale Cinema e Audiovisivo del Ministero Della Cultura.

Riprendendo il titolo del film, quando hai deciso di far crescere il famoso codino?

Tutto è iniziato per gioco: durante i Mondiali mi trovavo in un hotel in America dove c’era una cameriera di colore che aveva delle treccine stupende e un giorno, parlando con lei, le feci i complimenti. Lei mi chiese: perché non te le fai anche tu? Io allora avevo i capelli lunghi e ricci e due ore dopo lei mi fece le treccine. Le trovai comode perché legandole in una coda i capelli, giocando, non andavano negli occhi. Non avrei mai immaginato che quel look avrebbe suscitato tanto scalpore e, soprattutto, che sarebbe diventato una moda per molti.

 Un momento particolare del lungometraggio che ti ha suscitato emozione?

Quando ho portato il “Pallone d’oro” sul set. Ammetto che ci siamo commossi tutti.

Sei sempre stato schivo nei confronti dei media: cosa ti ha spinto ad accettare che venisse girato un film su di te?

Mia moglie ed io viviamo in campagna e abbiamo una vita appartata, per cui tutto questo è stato un piccolo stravolgimento del nostro presente. Sono stato sul set anche con lei ed ogni tanto leggevamo le battute della nostra vita e ci emozionavamo. Ho accettato perché sono stati bravi a convincermi, ma devo ammettere che durante le riprese ogni tanto chiedevo: ma a chi interessano la mia vita e la mia storia?

“Il divin codino” quali momenti del tuo passato racconta?

In un primo momento si voleva descrivere un po’ tutto, ma non è stato possibile contrarre un’intera esistenza in 90 minuti per cui sono state scelte alcune tappe salienti. La storia parla di un uomo che insegue il suo destino, perché in effetti io già a 3 anni immaginavo di fare il goal che avrebbe fatto la differenza in un Campionato del Mondo. Nel film è stato privilegiato l’aspetto personale per consentire al pubblico di conoscere qualcosa in più su di me.

Quali difficoltà avete incontrato nella realizzazione dell’opera?

La preparazione si è diramata in tanti aspetti: da quello fisico perché Andrea Arcangeli, che mi interpreta, doveva avere la mia corporatura, alla capacità di rispettare i fatti che, essendo recenti, erano conosciuti da molti. Tutto lo staff ha passato tanti mesi a studiare il materiale di repertorio per rendere ogni scena reale e a questo proposito ha lavorato sul set con una betacam usata negli Anni ’90. Devo dire che sono stati tutti molto professionali e rispettosi della mia storia: da Ludovica Rampoldi e Stefano Sardo, che hanno curato il soggetto e la sceneggiatura, a Letizia Lamartire che ha firmato la regia, agli attori.

Per il film la produzione ha adottato il disciplinare T-Green Film: di cosa si tratta?

Sono molto orgoglioso di questo aspetto. Si tratta di una guida per tutte le fasi di lavorazione verso un approccio sostenibile da un punto di vista ambientale ed economico. La Trentino Film Commission è la prima in Italia ad avere introdotto un Film Fund che assegna un contributo extra per premiare le produzioni green attraverso quell’ente esterno di Trento che è l’Agenzia Provinciale per la Protezione dell’Ambiente che verifica le fasi di lavorazione e il rispetto delle azioni.

 Eri considerato il futuro Maradona, ma sul più bello ti sei infortunato ed hai dovuto ricominciare da capo. Come hai vissuto questo momento?

Ho sicuramente pagato un prezzo altissimo per onorare il mio destino, ma questo è il mio karma: io da sempre devo lottare per raggiungere il risultato. All’inizio mi arrabbiavo quando capitavano gli intoppi o gli incidenti che mi bloccavano proprio sul più bello, ma poi mi sono avvicinato alla pratica del buddismo e ho capito che questa dinamica fa parte di qualcosa che ho dentro e che devo combattere, ma soprattutto accettare.

Roberto, il famoso rigore sbagliato è un punto chiave del film…

Purtroppo nella finale del Mondiale del ‘94 contro il Brasile ho tirato quel rigore troppo alto che mi porterò dentro per sempre, anche perché non era mai capitato prima né in partita né negli allenamenti. In effetti quella scena non poteva mancare nel film.

Anche la sciarpa raccolta al Franchi di Firenze è un frame immancabile

Lo feci come atto di gratitudine verso i tifosi. Ero arrivato nella Fiorentina nel 1995 e per due anni non avevo giocato perché mi ero fatto male ma la gente di Firenze, nonostante la mia assenza dal campo, mi voleva bene e questo non l’ho mai dimenticato. In quella partita io ero ormai alla Juve e al 19′ del secondo tempo fui sostituito perché mi rifiutai di battere il rigore contro il portiere avversario che conoscevo bene. Nel percorso verso gli spogliatoi qualcuno della Fiorentina mi lanciò la sciarpa. La raccolsi come atto di rispetto verso la tifoseria e il mio gesto fu capito e scatenò gli applausi.

Le esperienze di Firenze, Brescia e il Mondiale sono stati i momenti topici del film e della tua vita?

Con la regista e con la troupe abbiamo selezionato questi tre frammenti perché sono stati davvero fondamentali per la mia carriera, ma certamente non dimentico l’affetto che ho provato per le città e per le tifoserie che mi hanno seguito. Ancora oggi dico grazie per quello che ho ricevuto da tutte le squadre.

Diodato è autore e interprete de “L’uomo dietro il campione”, la main song che fa parte della colonna sonora del film.

Questo brano mi piace molto perché è il fedele racconto in musica della mia vita. L’arrangiamento è dinamico e rock e fa da sfondo alle parole di Diodato. Lui, col suo timbro gentile, costruisce un crescendo di emozioni davvero intenso.

 Quale insegnamento credi che lascerà “Il divin codino”?

Nella trama il rapporto con mio padre è molto forte perché nella vita è stato davvero così. Lui è stato un uomo rigido e da giovane questo non l’ho accettato molto, ma oggi lo ringrazio per l’amore, la protezione e il desiderio di aiutarmi che ha sempre avuto nei miei confronti. Se oggi sono quello che sono è merito suo. Purtroppo mio padre è mancato proprio mentre stavamo girando il film per cui questa pellicola la ricorderò per sempre.

Torneresti a giocare?

Farei di tutto per tornare a giocare, ma purtroppo le ginocchia non la pensano come me.