Può l’India diventare una cashless society?


Probabilmente no. Ma ecco come e perché il subcontinente indiano sta diventando un formidabile test per l’industria dei servizi finanziari digitali.

Zeppi fino al soffitto di libri, penne, giornali e di ogni genere di mercanzia, i negozi e le cartolerie di cui va famoso il mercato di Nuova Delhi, sono poco più stretti di corridoi. Sono lì da decenni e sembra che poco o nulla sia cambiato da quando i shaib inglesi, o meglio i loro servi, venivano a fare provvista di carta da lettere che avrebbe attraversato l’oceano, diretta all’amata madrepatria.

Tutto uguale ad allora o quasi, se non fosse per le lastre laminate e brillanti dei QR Code, che fanno bella mostra di sé a fianco dei registratori di cassa. Già, perché l’India è stata spinta ad adottare i pagamenti digitali, diventando un caso di scuola da studiare con attenzione quando, alcuni anni fa, il Primo Ministro Narendra Modi decise la dematerializzazione delle banconote da 500 e mille rupie, quelle più usate, con l’obiettivo di combattere la corruzione dei pubblici ufficiali, l’evasione fiscale e gli ingenti flussi in contante delle varie mafie locali.

Non è ancora chiaro se questa manovra abbia raggiunto gli obiettivi dichiarati, ma di certo ha fatto esplodere i pagamenti digitali in tutto il paese, obbligando anche il commercio al minuto ad organizzarsi. Infatti i pagamenti cashless sono quintuplicati nel giro di cinque anni e dovrebbero aumentare di un altro 20% nei prossimi quattro, segnando la più importante crescita a livello mondiale.

Se, pure con questi tassi di crescita l’India rappresenta appena il 2% delle transazioni elettroniche a livello planetario, il processo ha creato un mercato enorme ed estremamente appetibile, dove anche la diffusione degli smartphone interessa ancora solo 1⁄4 della popolazione.

Infatti, al contrario della Cina dove la diffusione è massiccia e aziende come Alibaba o Tencent dominano incontrastate il mercato interno, nel subcontinente indiano la situazione è molto frammentata e decisa- mente competitiva, con una continua corsa al ribasso per accaparrarsi un numero sempre più grande di clienti.

Non stupisce quindi che la rivoluzione nei sistemi di pagamento si stia ulteriormente allargando ad altri settori, ad altri servizi finanziari a più alto valore aggiunto e quindi più remunerativi per gli operatori. Oppure che operatori di altri settori si lancino su questo nuovo, invitante, mercato. E non sono solo i soliti big a stelle e strisce né solo quelli che hanno maggiori competenze. Truecaller, una compagnia svedese con circa 100 milioni di clienti, penetrata in India grazie alla sua applicazione in grado di scremare le chiamate telefoniche non gradite, sta testando l’offerta di prestiti da 50mila a 500 mila rupie.

La fiducia dei clienti è stata quindi conquistata non nel campo finanziario o dei pagamenti, ma in quello della telefonia, per passare poi ad includere nel proprio business aree completamente estranee all’offerta iniziale.

A questo proposito, va notato che anche WhatsApp, il più popolare social media in India con circa 300 milioni di utenti registrati, sta testando la sua WhatsAppPay, che non è ancora stata lanciata ufficialmente per ragioni di privacy sulla detenzione all’estero dei dati, ma che avrebbe potenzialità enormi. Così la migrazione verso questa nuova forma di pagamento, sta trasformando un mercato interno sostanzialmente arretrato ma con grandi spazi di crescita, in un formidabile test non solo per la diffusione della moneta elettronica, ma della digitalizzazione dei servizi finanziari in generale.

Chi conosce meglio l’India e la sua attitudine millenaria, non si lascia però ingannare dall’esplosione delle nuove tecnologie e, nella certezza che una società cashless sia ancora lontana, è convinto che un po’ di contante a portata di mano, ogni indiano, per quanto giovane ed evoluto sia, lo vorrà sempre avere.

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