Parla Barbara De Rossi- Una carriera di successo e dietro le quinte per aiutare le donne


Alberto Lattuada la scoprì per caso, durante un concorso di bellezza. Lei, giovanissima, non pensava al cinema. Tuttavia il cinema ha cercato lei. Tutti la ricordano ne “La Piovra”, di Damiano Damiani, al fianco di Michele Placido, ma di serie televisive e film ne ha fatti moltissimi, e con registi di grande fama, fra l’altro. C’è un film o un ruolo che per lei ha fatto la differenza nella sua lunga carriera artistica?
Se ripercorro con il pensiero i miei 45 anni di professione, quest’anno, mi rendo conto di avere fatto una bellissima carriera e sicuramente degli incontri fortunati: ogni tot di anni ho avuto delle proposte importanti, ruoli da protagonista, registi di fama che mi hanno veramente consegnato l’opportunità di recitare ruoli importanti e crescere come attrice. Penso a film come “Una storia spezzata”, “La Piovra” di Damiani o registi come Claude Chabrol, Alberto Lattuada, Carlo
Lizzani e agli attori strepitosi con i quali ho lavorato: Marcello Mastroianni, Cristopher Plummer, Bob Hopkins, Brad Davis, Ian Charleson.
Direi che sono stati tutti degli incontri che hanno segnato la mia vita professionale e mi hanno insegnato moltissimo.

Il cinema è cambiato?
Era un altro cinema e “costruito” diversamente. Purtroppo non ci sono più grandi produttori come De Laurentis, Cristaldi, Ponti, che rischiavano sulla loro pelle senza intermediari. Ora i meccanismi sono altri.
C’è la RAI che fornisce dei contributi, così come Mediaset ed ovviamente fanno del loro meglio, ma quei binomi perfetti che permettevano ad una produzione di realizzare un grande film creando inevitabilmente un legame speciale fra il regista e gli attori, ecco, quel tipo di rapporto è difficile da ripetere. Non lo dico con tono polemico, sia chiaro, ma sicuramente con dispiacere.
D’altronde il cinema italiano non è mai diventato una vera industria. Se fosse così, non avremmo centinaia di
giovani attori e registi di talento che sono costretti a fare piccole cose, con poco denaro e poche risorse, rinunciando ai loro veri progetti, alle loro idee.

La ricordo, bravissima, in “Ballando con le Stelle” o in “Tale e Quale Show”, in una versione strepitosa di Gabriella Ferri. I Talent versus i Reality. Che ne pensa?
Mi piace studiare ed imparare e il talent l’ho colto come un’esperienza nuova da percorrere. Ma non il reality, ci tengo a distinguere i due format che sono molto diversi fra loro. Un programma come il “Grande Fratello”,
nel pieno rispetto di chi lo ha fatto e lo ha prodotto, resta, a mio avviso, un esperimento sociale che forse aveva un senso
all’inizio, ma che avrebbe dovuto avere una durata molto più breve.
Mentre talent come “Tale Quale Show” o “Ballando con le Stelle”, per citarne due ai quali ho partecipato, ti mettono davanti ad una sfida vera e propria.
Quando ho fatto “Ballando con le Stelle” avevo cinquant’anni ed alcune mie coetanee si sono complimentate perché ho in qualche modo testimoniato che, con buona volontà e sacrificio, anche ai 50 si può ballare e pattinare. Così come quando ho partecipato a “Tale e Quale Show”, mi sono ritrovata a dovere impersonare addirittura Rocky Roberts, quindi un uomo, e per giunta con il timbro di un cantante di colore. Difficilissimo. Partecipare a programmi di questo tipo non è solo divertimento però, perché ottenere dei risultati è possibile solo dopo avere studiato ed essersi allenati per mesi, fino a sei ore al giorno e con una coreografia nuova ogni cinque giorni, per poi andare in televisione senza sapere come andrà, ovviamente. Cimentarsi in un ruolo che non è il tuo e che veramente ti mette a nudo e ti fa ricominciare daccapo
non è semplice ma io amo le sfide e ritengo siano state delle esperienze molto belle.

Nella sua carriera ha svolto anche il ruolo di conduttrice televisiva con “Amore Criminale”, un programma molto difficile che ha raccontato sul grande schermo con attenzione e grande rispetto.
Problematica che conosce bene perché lavora da oltre vent’anni con un’associazione a supporto delle donne vittime di violenza.
È così. “Amore Criminale” ha amplificato in modo molto forte quello che io faccio dal 1998. Parlo di questo perché quando mi chiesero di condurre questo programma, che prima era in seconda serata e con me passò in prima, una platea più ampia di donne cominciò a seguirlo. La violenza psicologica e fisica sulle donne non è qualcosa sulla quale fare pettegolezzi o pubblicità, lo specifico. La conduzione del programma per me ha rappresentato una sorta di
parallelo di un lavoro che faccio seriamente da oltre vent’anni con Maria Grazia Passeri, una donna straordinaria e fondatrice dell’Associazione Salvabebè-Salvamamme, della quale io faccio parte.
Tuttavia parlarne non serve molto, se poi non si fa concretamente quello di cui queste donne hanno bisogno per salvarsi la pelle.
Per questo siamo sempre in contatto con la Polizia di Stato e nello specifico con gruppi di poliziotti in borghese che lavorano con noi e aiutano concretamente queste donne a scappare, nel momento in cui decidono di denunciare. Io ho i miei profili social aperti proprio per questa ragione.
La casa della nostra Associazione è dentro la sede della Croce Rossa in Via Ramazzini, a Roma e abbiamo una linea telefonica aperta giorno e notte.
Abbiamo realizzato una valigia di salvataggio, dove mettiamo tutto quello che può servire ad una donna, ed al bimbo o bimbi, se ce ne sono, per i primi giorni di abbandono della propria casa.
Il lavoro che facciamo è sicuramente molto utile, ma non è sufficiente se le istituzioni non ci danno una mano inasprendo le pene, per dirne una. Se ho un uomo agli arresti domiciliari e nonostante i braccialetti ai polsi esce di casa per andare a minacciare la propria compagna, oppure ho una denuncia dentro un cassetto e magari proprio la donna che ha denunciato finisce in ospedale o peggio, muore ammazzata, si capisce bene che le risorse ma forse anche l’attenzione
dedicata a questo enorme cancro della violenza e del femminicidio, sono insufficienti.
Le pene dovrebbero essere molto più dure già dall’inizio dello stalking. Non si dovrebbe aspettare di avere una donna
con un polso rotto o la testa fracassata per fare scattare il carcere.
Un programma come “Amore Criminale” sensibilizza l’opinione pubblica, certo, ma credo dovremmo avere un braccio molto più lungo che dalla televisione arrivi fuori.
Ci sono molte associazioni nel nostro Paese che si occupano di violenza sulle donne, eppure i numeri di donne violate o uccise sono impressionanti. Significa che la rete di salvataggio che tutte queste organizzazioni hanno messo in campo non è ancora abbastanza.
Ci sono le case rifugio, dove queste donne vengono nascoste, ma poi?
Avremmo bisogno di ulteriori strutture dove medici, psicologi, assistenti sociali, potessero tutti dare il loro contributo per fare ricominciare a vivere le vittime di violenza.
La magistratura da una parte, con la certezza delle pene, e le strutture che possono aiutarle a ricominciare una nuova vita,
dall’altra. Per ora rappresentiamo solo un cerotto che possiamo mettere sulla ferita che si è appena aperta. Ma ancora non è cambiato molto dal 1970 e c’è da vergognarsi. Basta guardare su YouTube l’arringa che fece Lagostena Bassi nel 1979 durante un processo per stupro per capire a cosa mi riferisco. Queste donne debbono sentirsi libere di denunciare e per farlo deve cambiare anche una mentalità gretta e ipocrita che è alla base di una comunità che invece di accogliere, molto spesso giudica senza conoscere le storie delle vittime che non sempre hanno l’ingenuità come cornice, ma che vivono vicino a uomini manipolatori e di una crudeltà sottile.
Fortunatamente ci sono uomini meravigliosi ed empatici. E sono proprio loro che dovrebbero essere coinvolti con le loro
professioni e capacità in questa lotta che a volte sembra infinita.

Sta lavorando a tanti progetti e so che almeno un paio sono a teatro, altro amore della sua vita. Ce lo racconta?
Un altro amore, è vero. Perché il teatro offre moltissime possibilità a noi attrici. Lo fa a tutte le età. Non come il cinema italiano che chiude le porte anche ai soli cinquanta o sessant’anni e ti relega a ruoli minori, magari di zia o di nonna. Purtroppo non siamo gli Stati Uniti dove attrici strepitose, penso a Judy Dench o Diane Keaton, possono avere
ruoli meravigliosi anche oltre i settant’anni.
Il cinema non ha pietà per l’età di una donna, mentre il teatro è un palco meno impietoso da questo punto di vista.
Mi piace fare teatro e ora sto preparando un bel lavoro, “Lettere d’Amore”, con Enzo De Caro con il quale ho già lavorato in passato, in “Napoli Milionaria” e “La vita che corre”, e che andrà poi in tour da questo ottobre per un paio di mesi.
E altri, certo, fra cui uno bellissimo con il Professor D’Arcangeli, un reading teatrale sulla visione femminile di Dante, trascurata, con diverse date in giro per l’Italia. Tutto questo con l’augurio che questa maledetta pandemia non ci metta in ginocchio tutti. Io voglio essere ottimista. Come sempre.

Grazie

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