Lidia Vitale. Recitare è usare un violino interno e le corde sono quelle dell’anima.


Lidia VitaleBrillante, divertente e dotata di un’intelligenza raffinata e sensibile, l’attrice romana ha capito il ruolo del cinema nella formazione sociale degli spettatori. Una fatica che la appassiona da sempre.

Lidia Vitale. Un concentrato di cultura e creatività. Laureata in Sociologia all’Università La Sapienza di Roma, ha studiato anche ad Amsterdam, ha frequentato l’Actors Studio di Los Angeles ed ha approfondito il metodo in giro per il mondo con i suoi membri più celebri. Nel cinema ha esordito come assistente personale di Carlo Degli Esposti per poi passare alla recitazione, alla regia e alla produzione. In televisione ha preso parte a numerose serie: la ricordiamo in “Medicina generale” e “I liceali”, mentre ultimamente ha recitato in “Romolo + Giuly: La Guerra Mondiale Italiana”, “Rosy Abate” e “I Medici – Nel nome della famiglia”. Nelle sale l’abbiamo ammirata agli esordi ne “La meglio gioventù” di Marco Tullio Giordana e ultimamente in “Tulipani – Amore, onore e una bicicletta”, film che fu in concorso TIFF nel 2017 e che porta la firma del regista olandese premio Oscar Mike Van Diem. Passionale, intelligente, determinata, ma anche sensibile, ironica e attenta al contesto sociale odierno, Lidia Vitale vive l’arte secondo il metodo Strasberg. Per questo ogni suo personaggio è un viaggio alla ricerca della verità più profonda dentro se stessa per arrivare a colei che interpreta. “Recitare è usare un violino interno e le corde sono quelle dell’anima” spiega a Plus Magazine questa attrice infaticabile che non smette mai di mettersi alla prova, come donna e come artista.

La tua tesi di laurea in sociologia era sui sistemi di produzione degli audiovisivi in Australia. Il cinema è da sempre nella tua aura?

Ero bambina e già volevo recitare. A saperlo, col cavolo che lo avrei fatto! A parte gli scherzi, i miei genitori mi iscrissero ad una scuola elementare dove il pomeriggio si faceva teatro e per 5 anni fui la protagonista di tutti gli spettacoli. Poi arrivò l’occasione di rivisitare “Grease” per un’emittente televisiva privata. In quel periodo capii cosa vuol dire essere raccomandati: nel momento più importante, infatti, diedero la mia parte alla figlia dell’insegnante! (Ride). Da ragazza ero piena di insicurezze, così ho sempre studiato molto perché – mi dicevo – se non ho talento, almeno ho la formazione necessaria. Oggi sono grata del percorso di vita che ho fatto grazie alla recitazione.

Perché hai scelto di essere artista?

Per crescere ogni giorno e offrire spunti di maturazione alle persone. Il cinema serve per toccare le corde dell’anima, far pensare, ragionare, e il mio sforzo è trasmettere la verità e sensibilizzare lo spettatore. Un tema che mi sta a cuore è il ruolo della donna, nell’arte e nel quotidiano. Noi abbiamo un’intelligenza emotiva spiccata. Dovremmo usarla al meglio e non trasformarci in uomini mancati o, peggio, subire stereotipi che appartengono ad un immaginario collettivo normalizzato, ma che non valorizza il femminile e non permette il pieno manifestarsi di un potenziale ad oggi necessario per un vero progresso ecologico e di pace.

Lidia VitaleQuanto ti ha dato l’Actors Studio?

Mi ha formata sia come attrice sia come persona. Ho seguito il metodo Strasberg, che deriva da quello Stanislavskij e introduce il rapporto con il sensoriale, inteso come capacità di ricreare la realtà con i sensi. In pratica l’attore entra intimamente nel personaggio per ricercare la verità più profonda attraverso i sensi. Lo pratico da 30 anni ed è un lavoro continuo, in primis su me stessa. Talvolta è faticoso, ma ne vale davvero la pena.

In “Tulipani – Amore, onore e una bicicletta” – dove reciti accanto a Giancarlo Giannini –
si parla anche di accoglienza. Un tema sempre attuale? Un aneddoto sulla pellicola, che in Olanda ha ottenuto tanti riconoscimenti?

Il giorno dopo l’attentato al Bataclan di Parigi del 13 novembre 2015, dove sono morte tante persone, eravamo sul set. Dopo 3 settimane di girato in assenza della regista qualcuno aveva deciso di bloccare le riprese mettendo un trattore davanti alla location. Il film era una coproduzione tra Italia, Canada e Olanda e on stage si parlava olandese, inglese e barese. Salii su quel trattore e chiesi un minuto di silenzio per ricordare le vittime. Fu un momento intenso e doveroso. “Tulipani” ha avuto una genesi di due anni. La prima regista fu l’olandese Marleen Gorris, premio oscar per “L’albero di Antonia”, che successivamente abbandonò il set, ma decisi di portare avanti il progetto con l’assistente alla regia Ann Marie Van de Valle ed il resto della troupe. A riprendere la narrazione fu un suo connazionale, Mike Van Diem, e per tutto il tempo io accudii Immacolata, il mio personaggio, come una figlia. Lo tenni dentro di me in attesa di farlo sbocciare.

Da 8 anni porti in scena “Solo Anna”, il monologo in cui sei Anna Magnani. È difficileinterpretare un’icona di tale portata?

Studio il suo personaggio dal 2003 e nel 2012ho debuttato a Los Angeles con “Solo Anna”,che da otto anni portoin scena per il mondo. Il mio rapporto con lei è di amore e odio. La stimo tantissimo come donna e come attrice, ma è un personaggio che mi ha in qualche modo etichettata. Sono certa però che con Anna ci siamo scelte. Il suo è un femminile che sento l’urgenza di raccontare perché ha saputo rompere gli schemi in un’epoca nella quale era difficile essere donna.
Purtroppo ne ha pagato lo scotto perché il sistema italiano di allora, specie dopo l’Oscar, non le propose più parti che la valorizzassero. Gli incassi maggiori li ha ottenuti in America, dove comunque ad un certo punto le chiedevano di interpretare ruoli sempre uguali a se stessa. In questo periodo, con dei produttori americani, stiamo valutando di girareun
film su di lei e mi sento pronta.

Un tuo bilancio sul cinema italiano?

Lo trovo ancora troppo “buonista”. Preferisce le storie a lieto fine e i protagonisti perfetti. La vita reale non è così e l’essere umano ha lati positivi, ma anche negativi. Ha un lato oscuro e dei limiti che lo rendono interessante. Il cinema di oggi rimane ancora troppo in superficie, non trovo che vada fino in fondo e così rischia di non permettere allo spettatore di rispecchiarsi in una verità. Apprezzo il coraggio di osare e Checco Zalone, che in “Tolo Tolo” propone un protagonista mediocre nel quale, però, la gente evidentemente si riconosce.

Quanto di Lidia c’è nelle donne che porti in scena?

Ciò che serve. L’obiettivo è che il mio ego lasci spazio al personaggio come atto d’amore nei confronti di chi interpreto.

Cosa ti aspetti da questo 2020?

Sono in attesa di risposte a provini internazionali.Inoltre sto lavorando a delle scritture in cui parlo di donne sui 40-50 anni, un’età che il cinema e la televisione italiana purtroppo ancora trascurano mentre il resto del mondo sta riportando successi indiscutibili in questa fascia che porta con sé consapevolezze profonde. Sento forte l’urgenza di dire qualcosa di mio. So che ci vuole coraggio e impegno, ma mi sono preparata a lungo. Sto pensando alla regia e credo che i tempi siano maturi. Come in tutti i momenti di crisi, anche in questo specifico contesto storico
e artistico ci sono delle grandi potenzialità che, se ben utilizzate, possono dare vita a
qualcosa di positivo. Secondo me in questo periodo c’è una forte esigenza di affrontare
temi importanti anche con leggerezza. Aspetti estremamente creativi e, soprattutto,
utili a risollevare la parte più spirituale e intima delle persone.

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