La vasca del Führer: Serena Dandini firma una pagina di storia intensa e femminile


Autoritratto di Lee Miller

La protagonista, Lee Miller, è una modella e fotografa che visse tra le due Guerre Mondiali e che al glamour parigino scelse il reportage bellico. Serena Dandini ne ripercorre la vita e in questo romanzo ci regala sia lo spaccato di un’epoca sia la biografia di una donna fuori dagli schemi.

Artista poliedrica e brillante, Serena Dandini spazia con disinvoltura dalla televisione alla radio e dal teatro alla letteratura. La sua carriera in Rai è costellata da programmi di successo come “La TV delle ragazze”, “Avanzi”, “Pippo Chennedy Show”, “L’ottavo nano”, “Parla con me” e “Stati generali”, ma la conduttrice ha fatto anche un’incursione a Mediaset con “Mai dire Gol” e “Premio italiano della musica” e per LA7 è stata la padrona di casa di “The show must go off”. Il suo testo teatrale, “Ferite a morte”, racconta fatti di violenza femminile realmente avvenuti e nelle tre tappe di Genova, Bologna e Palermo è stato interpretato, tra le altre, da Lilli Gruber, Geppi Cucciari, Angela Finocchiaro, Lella Costa, Malika Ayane, Concita De Gregorio e Ambra Angiolini. Il cartellone ha incluso date a Washington, Bruxelles, Londra e Tunisi mentre a New York lo spettacolo è stato messo in scena presso la sede delle Nazioni Unite. Nel 2015 ha vinto il premio come Miglior Evento No profit dell’anno durante la dodicesima edizione del BEA – Best Event Awards e due anni prima Rizzoli ne ha pubblicato la versione cartacea. E a proposito di libri, Serena Dandini è un’autrice prolifica. Tra i suoi titoli ricordiamo “Il catalogo delle donne valorose” edito da Mondadori e “Avremo sempre Parigi. Passeggiate sentimentali in disordine alfabetico”, “Grazie per quella volta. Confessioni di una donna difettosa”, “Dai diamanti non nasce niente. Storie di vita e di giardini” editi da Rizzoli. La sua ultima fatica letteraria si intitola “La vasca del Führer”, un romanzo per Einaudi che racconta la vita di Lee Miller: donna bellissima e affascinante che con le sue fotografie ha descritto i fasti e le tragedie del secolo scorso.

La vasca del Führer ha una cover forte e bellissima.
È un’istantanea emblematica nella quale la stessa Elizabeth Lee Miller è immersa nella vasca da bagno di Hitler all’interno del suo appartamento di Monaco di Baviera. Sono i giorni della liberazione da parte degli alleati, quelli in cui il dittatore nazista ed Eva Braun si sposano e si tolgono la vita. La reporter è stata da poco a Dachau e con la sua macchina fotografica Rolleiflex ha scattato immagini intense per testimoniare le atrocità di quei luoghi. Questo scatto, invece, è stato fatto dal suo collega e amante David Sherman che lavorava per la rivista americana Life e mi ha colpita per il contrasto tra l’ordine e il candore della stanza e il fango del campo di concentramento incollato agli stivali di lei che sporcano il tappeto immacolato. Quasi un segno di disprezzo per il padrone di casa.

Perché Lee Miller, la protagonista del suo romanzo, l’ha così affascinata?
Perché fu una delle personalità più straordinarie del Novecento, una donna emancipata che dagli Stati Uniti conquistò l’Europa. Fu una donna coraggiosa e indipendente che amò e lasciò molti uomini famosi. Era bellissima e come modella sfilò a New York e a Parigi, conobbe Monsieur Condé Nast, l’editore di Vanity Fair e Vogue, e in breve tempo posò per le riviste più importanti. Oltre che un’icona di moda divenne la musa ispiratrice di grandi artisti e fece innamorare uomini del calibro di Man Ray e Roland Penrose, che sposò. A sette anni, però, fu vittima di violenza sessuale, una violenza mai denunciata dai genitori e alcune voci sostenevano che potesse trattarsi di un amico di famiglia o dello stesso
padre. Un trauma che la segnò profondamente.

L’ha definita una pioniera: per quale ragione?
Perché era una femminista quando ancora il femminismo non era così forte. Rinunciò alla fama e alla carriera di modella per diventare fotografa e nel 1930 allestì uno studio fotografico a Parigi dove scattò foto per stiliste come Coco Chanel. Collaborò con l’esponente del Dadaismo Man Ray e insieme sperimentarono, quasi per caso, la tecnica fotografica della solarizzazione. Mentre si trovavano nella camera oscura lei sentì qualcosa strisciare ai suoi piedi e accese la luce credendo che si trattasse di un topo. Spense subito la luce temendo di aver fatto danni, ma quando con Man Ray stamparono le foto scoprirono che gli scatti sembravano bassorilievi! Affascinata dall’arte, Lee Miller aderì anche al movimento surrealista e fu amica di Paul Éluard, di Jean Cocteau, che nel suo film “Le Sang d’un Poète” le fece interpretare la parte di una statua che prende vita, e di Pablo Picasso che la ritrasse per ben sei volte. Nonostante la vita affascinante e la carriera incredibile, questa donna si spinse oltre i suoi limiti e divenne reporter di guerra. L’esercito degli Stati Uniti la riconobbe come corrispondente di guerra per l’editore Condé Nast e in Francia documentò il primo utilizzo del napalm durante l’assedio di Saint-Malo, immortalò la liberazione di Parigi, la battaglia dell’Alsazia, l’incontro tra l’esercito statunitense e l’Armata Rossa e altri eventi del tempo.

Nel romanzo parla di Lee Miller all’indomani della sua visita a Dachau.
È stata una donna al centro della storia che visse in prima persona i cambiamenti epocali di quel periodo. Fu tra le poche dames fotografe alle quali venne concesso di entrare nel campo di concentramento di Dachau e con la sua inseparabile Rolleiflex documentò le atrocità di quel luogo. Mi ha colpita che insieme alle testimonianze raccolte e ai rullini spedì a Vogue un telegramma dove scrisse: “Credetemi, è tutto vero!”.

Un aneddoto della vita di questa fotografa che l’ha affascinata particolarmente?
Lei portava sempre il rossetto, anche nei luoghi di guerra quando indossava la divisa, e a Dachau incontrò una sopravvissuta che le accarezzò la bocca e lei le regalò il suo rossetto. Questo particolare mi ha ricordato un’opera dell’artista inglese Banksy, “Holocaust”. Tra l’altro i documenti testimoniano che nei campi di concentramento arrivò un camion pieno di rossetti che i soldati regalarono alle deportate per ridare loro un po’ di dignità.

Come definirebbe il suo libro?
Più che una biografia è una ricerca approfondita. Sono stata a Parigi per reperire informazioni ed ho trovato lo studio di Man Ray che è rimasto quasi intatto.

C’è qualcosa di Lee Miller in Serena Dandini?
Direi di no. Lei è stata egoista e un po’ di egoismo salva sempre. Io non lo sono mai stata e mi interessava raccontare anche questo aspetto del suo carattere.

Eppure l’egoismo non le risparmiò le sofferenze…
In effetti verso la metà degli Anni ’40 iniziò a soffrire di disturbo post traumatico da stress e cedette all’alcolismo. Durante il matrimonio con l’uomo d’affari egiziano Aziz Eloui Bey ebbe un figlio dal pittore surrealista e curatore d’arte britannico Roland Penrose, che sposò qualche anno più tardi. I due andarono a vivere nell’East Sussex, in Inghilterra, e la loro casa divenne meta di pellegrinaggio per artisti come Henry Moore, Jean Dubuffet, Saul Steinberg, Dorothea Tanning e Max Ernst. Quasi volesse dimenticare il suo passato, Lee Miller nascose le sue foto in soffitta e solo dopo la sua morte il figlio Antony, con il quale ebbe un rapporto conflittuale, le trovò. Il suo erede ha dedicato la vita a ricostruire i tanti mondi della madre.

È stato complicato scrivere questo libro?
Ho impiegato più di due anni per portarlo a termine: mi sono interrotta spesso per gli impegni televisivi, ma nascoste tra i copioni ne avevo alcune pagine.


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