In questi ultimi anni ho assistito a un deterioramento nell’utilizzo delle parole sui social, quasi che la possibilità di dire qualunque cosa su qualsiasi argomento autorizzi molti a perdere il senso civico, la buona educazione e il rispetto verso gli altri. Taluni sostengono che basti non seguirli, non leggere i post o addirittura cancellarli dai propri contatti per non assistere più a questo scempio. Ma si deve arrivare a questo? La sorpresa maggiore viene dal leggere i post di persone con ruoli di responsabilità che sui social si trasformano da Dottor Jekyll a Mr. Hyde. Durante le mie lezioni ricordo sempre agli studenti che i social ci rappresentano in tutti i sensi e bisogna assumersi la responsabilità per ciò che pubblichiamo. Peccato che il cattivo esempio venga proprio da individui già inseriti nel mondo professionale e nel tessuto sociale. D’altronde, anche i personaggi politici non sono degli esempi positivi, anzi, il teatrino che si viene a creare in molti dibattiti televisivi non può che causare un effetto deterrente. Poi ci sono i talk show che, se pur criticati per l’esibizionismo emozionale, la creazione di conflitti ad arte, le simulazioni da “feuilleton”, hanno alti indici di ascolto e quindi continuano ad andare in onda. Fermo restando che non ritengo di avere nemici acerrimi, non augurerei del male neanche al mio peggior nemico, e aborrisco di fronte a dichiarazioni violente e posizioni oltranziste, qualunque sia la natura o l’origine del contrasto ideologico. Lavoro sul potere delle parole sia nel coaching sia nella formazione e sostengo che l’utilizzo dei termini più appropriati possa cambiare il significato del messaggio per il destinatario. Quando ci rivolgiamo agli altri dobbiamo rammentare che le nostre parole portano delle conseguenze e non possiamo poi giustificarci sommariamente dicendo che non ci siamo resi conto e volevamo esprimerci diversamente ma non siamo riusciti a controllarci. Pur avendo oltre il 90% del DNA dei primati ci siamo evoluti e siamo esseri pensanti, la locuzione cartesiana “cogito ergo sum” è un criterio di verità imprescindibile. Forse ce ne dimentichiamo e ci lasciamo sovrastare da quell’istinto animale che dà spettacolo della miseria umana sui social. Eppure ci sono molte parole che racchiudono in sé fascino, bellezza, amore, gratitudine, perdono. Anche quando parliamo a noi stessi, nella nostra mente possiamo intercettare i termini a suggestione negativa e modificarli, se vogliamo. Diventa decisamente più facile quando scriviamo, che sia una e-mail, un post sui social, un messaggio sui vari canali. Allora, prima di premere invio, dedichiamo un paio di minuti nel rileggere ciò che abbiamo scritto e poniamoci qualche domanda: “Possono le mie parole ledere o offendere qualcuno?” “Posso riscrivere meglio quel che intendo dire per non essere frainteso?” “Posso sostituire le parolacce con termini più appropriati?” “Posso contenere il mio livore o la mia indignazione?” Sono certa che con un po’ di buona volontà e un piccolo sforzo da parte di tutti, il mondo potrebbe apparire migliore.
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