La consapevolezza della salute come bene sociale


In questi mesi siamo stati travolti da forti emozioni, prima fra tutte la paura. Paura del contagio, paura per il dolore descritto dai malati di Covid-19, fino alla paura della morte, scandita ogni giorno dal tragico bollettino dei decessi. Paura rivolta anche verso i nostri cari, unita a una frustrante impotenza quando il virus li aveva presi.

Come ci ricorda Lovercraft, “La paura è il sentimento più antico dell’uomo”. La sua funzione è metterci in guardia contro una minaccia potenzialmente letale per modificare i nostri comportamenti e permetterci di sopravvivere.

Effettivamente è quanto è accaduto con l’applicazione delle regole volte alla salvaguardia di tutti noi, dall’uso della mascherina protettiva al distanziamento sociale, dalla chiusura di aziende, scuole e locali pubblici al rispetto del perimetro di 200 metri per gli acquisti di beni necessari alla sopravvivenza. La pandemia ha modificato le nostre abitudini e i nostri comportamenti, costringendoci all’isolamento sociale, ma ci ha offerto anche del tempo prezioso per riflettere. Le conseguenze sono state differenti, chi ha potuto finalmente apprezzare di avere tempo da dedicare ai figli o al partner, chi lo ha adoperato per essere utile agli altri e chi, purtroppo, si è sentito ancora più solo. Un ringraziamento va rivolto ai molti ruoli professionali che hanno continuato incessantemente a lavorare per ciascuno di noi, sfidando il rischio del contagio: ai medici e agli operatori sanitari, alle risorse umane operative nei supermercati e ai trasportatori delle merci che hanno garantito i continui rifornimenti, agli operatori ecologici e a tutte le persone dedite alla pulizia degli ospedali, ai fornai che hanno assicurato il pane fresco sulle nostre tavole ogni giorno e ai piccoli negozianti di generi alimentari. Una pletora di persone che ha lavorato alacremente, silenziosamente, mentre molti assumevano un atteggiamento querulo e lamentoso per le privazioni subite, senza comprendere di essere privilegiati per non aver sofferto direttamente ed esserne usciti incolumi.

Nelle nostre menti sono cambiati anche altri parametri: se prima lo stato di salute individuale veniva inteso come un fatto personale, in grado di coinvolgere al massimo i propri famigliari,
con il Covid-19 la percezione è cambiata: la salute è diventata un bene sociale da cui dipende il benessere di tutti e conservarla è ora una responsabilità sociale.

Il virus colpisce indistintamente dal ceto sociale o dal ruolo professionale e tutti dobbiamo sentirci responsabili gli uni verso gli altri per giungere a un rispetto delle regole condiviso che possa, quanto meno, contingentare l’epidemia. Infine, questa pandemia che non conosce confini geopolitici, ci sta insegnando a ragionare in termini globali, portandoci a riflettere su aspetti a cui non siamo soliti dare il giusto peso. In Italia, pur tra le note difficoltà, possiamo fruire di un sistema sanitario realmente democratico che aiuta e cura ogni persona, mentre ben diversa è la situazione in certi paesi che, a volte, ammiriamo per svariate altre ragioni; oppure in altri, che
ci fanno sentire fortunati per essere nati dall’altra parte del mondo.


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