Marco Belinelli: il campione italiano della NBA


Marco Belinelli

Ha raggiunto il traguardo di dodici stagioni nel basket americano ed è l’unico italiano ad averne vinto il titolo. Ora punta al Mondiale.
Estate 2019. Marco Belinelli arriva a Torino per inaugurare una nuova struttura per il basket in un’area verde di un quartiere popolare che è stata rammodernata grazie all’intervento di Ubi Banca, sponsor ufficiale Nba per i prossimi tre anni. Viaggia in auto oscurata e scortato – come tutti gli sportivi dell’NBA – ma dalla reazione che ha di fronte alla folla di gente che lo acclama come un eroe si capisce che è rimasto lo stesso ragazzo che, da bambino, a San Giovanni in Persiceto, nel bolognese, girava per strada con la palla a spicchi sotto il braccio e faceva canestro nei cestini.
Ne è passato di tempo da allora. Dopo più di dieci anni di fatica Belinelli, 33 candeline spente lo scorso 25 marzo, è una colonna del basket più forte del mondo, quello americano, e in forza ai San Antonio Spurs.

Marco Belinelli

Da subito dimostra il suo talento: dai primi anni quando come playmaker nella Virtus Bologna conquista più volte il titolo di miglior giocatore, fino al Premio Reverberi, ossia l’Oscar del Basket, ricevuto a soli 20 anni. Poi la chiamata dall’America e il suo esordio in NBA. Era il 2007. Prima i Warriors, a seguire i Chicago Bulls e poi gli Spurs.
Ad oggi è l’unico italiano ad avere vinto il titolo NBA e ad essersi aggiudicato il Three Point Shootout, gara in cui bisogna segnare il maggior numero di canestri da tre punti in un minuto. Lui e Danilo Gallinari sono gli unici due cestisti che rientrano nella classifica dei dieci sportivi italiani più pagati al mondo.

Suo il canestro più pazzesco mai visto in una finale: nella partita vinta dai San Antonio sugli Atlanta Hawks ha segnato una tripla allo scadere dei 24″ con i piedi ancora sul logo di centrocampo, vale a dire da dieci metri.
Con la faccia genuina e il suo accento italoamericano, Marco prima ha firmato da perfetto campione della gente tutti gli autografi che gli sono stati chiesti e poi, in un incontro con un gruppo ristretto di giornalisti, si è raccontato.

Marco Belinelli Torino

Campetto basket

Marco, tanti giovanissimi venivano qui a passare il tempo e ora lo potranno fare in modo diverso, un bel momento…
Davvero, vedo tantissimi ragazzini e questo ci riempie di gioia. Siamo in un campo bellissimo.

Tu da ragazzino come loro frequentavi posti come questo? E magari sognavi già di diventare un campione…
Assolutamente, io sono cresciuto giocando al campetto del mio paese. Da piccolissimo, avevo al massimo dieci anni e andavo a giocare da solo e in un campetto come questo ho affrontato le prime sfide, anche con ragazzi più grandi di me. Oggi da professionista dico che è giusto sperare in grande.

Quindi consigli l’esperienza al campetto.
Avere l’occasione di giocare fuori dalle mura di casa è un’opportunità incredibile: ti aiuta a fare nuove amicizie, a stimolare il confronto e ti fa conoscere cosa significa la voglia di vincere ogni sfida. Ho conosciuto ragazzi al campetto e anche dopo venti anni siamo rimasti amici.

Mondiali basket

Chi ti aveva incontrato a Torino ti aveva visto allenarti per il preolimpico ma considerando la mancata qualificazione, questa città non ha portato bene. Oggi sei qui prima del Mondiale…
Speriamo bene, dai, sono molto carico e non vedo l’ora di tornare a indossare la maglia della Nazionale (L’appuntamento con il Mondiale di settembre). È davvero una manifestazione molto bella. Ricordo ancora il 2006, quella partita contro gli Usa che come dicono tutti mi ha messo sulla bocca degli osservatori Nba. Ero molto nervoso, ero abituato a vedere quei giocatori solo in tv e invece me li sono trovati davanti. Ricordo che il primo tiro è entrato e quanta fiducia mi ha dato. È stata una partita importante.

Questo che Mondiale sarà?
Mi aspetto che questo sia ad un livello più alto di quello del 2006, anche perché adesso ogni squadra ha almeno 2-3 giocatori Nba. Io sono contentissimo di tornare in Nazionale: spero di fare qualcosa di importante per l’Italia e per noi stessi.

 

belinelli nazionale

 

Le polemiche della scorsa estate?
Acqua passata, l’importante è andare in Nazionale. Avrò occasione di conoscere bene il c.t. Sacchetti, di cui tutti mi parlano bene. Il gruppo storico non è ancora riuscito a fare risultati importanti: dobbiamo arrivare pronti per cercare di fare qualcosa di positivo.

Hai nostalgia del campionato italiano?
No, adesso no, il mio mondo e là poi vediamo fra un paio di anni.

Stagione soddisfacente?
Siamo partiti senza playmaker titolare ed è stata una stagione molto altalenante: siamo partiti male e poi ci siamo ripresi, direi che è stato un anno un po’ particolare. Siamo comunque riusciti ad andare ai play off lottando con Denver che ha meritato di andare avanti perché è una squadra giovane e che ha voglia di vincere e noi abbiamo ancora del lavoro da fare per migliorare.

Nazionale italiana basket

Il tuo obiettivo con la Nazionale?
Difficile rispondere adesso alla vigilia del Mondiale ma ovviamente vincere qualcosa con quella maglia è una di quelle cose a cui penso sempre e che mi piacerebbe tanto.

Vi sentite spesso con Gallinari?
Magari adesso che c’è di mezzo il Mondiale un po’ di più?
Certo, anche lui ha tanta voglia di far bene ma questa non è una novità: anche in passato la voglia c’era… Ma in questo momento sento che si è alzata l’asticella e abbiamo qualcosa di concreto da giocarci.

Il primo turno ti sembra abbordabile?
Ma sai la Serbia non è un avversario facile e tutte le squadre sono molto forti.

Sei più formica o cicala, cioè che rapporto hai con il risparmio?
Diciamo a metà perché mi piace spendere ma anche mettere via qualcosa.

belinelli nba

NBA

Ti trovi bene a vivere negli Stati Uniti?
Dal 2007 ho cambiato molte città ma direi di sì, anche se tornare in Italia da italiano mi fa sentire sempre molto orgoglioso. Ho fatto molta fatica ad ambientarmi nel mondo americano nei Golden State Warriors e Toronto Raptors. Anche se sei molto motivato e pieno di voglia di giocare, ci si trova di fronte alla gestione di mancanze affettive importanti.

Cosa ti manca dell’Italia e di San Giovanni in Persiceto?
Del nostro Paese direi il mangiare e invece del mio paese le amicizie e gli affetti, quelli veri che restano una vita.

Non è che cambierai di nuovo casacca?
Ma sai in NBA non si può mai dire. Ho un altro anno di contratto con San Antonio e spero di rimanere ancora lì. Perché io con gli Spurs voglio vincere ancora, come nel 2014.

Ti senti ancora il Rocky del basket? I tifosi dei Golden State Warriors hanno da subito cominciato a chiamarti così, tirando giù il palazzetto con i cori, e alla fine ti è rimasto addosso.
La somiglianza non mi dispiace, poi Rocky non è un brutto ragazzo.