Amanda Sandrelli. Il teatro, un grande amore


Attrice dotata di talento e grande sensibilità, debutta al cinema giovanissima con il celebre “Non ci resta che piangere” e prosegue con pellicole di livello come “I giorni del Commissario Ambrosio” di Sergio Corrucci e “Nirvana” di Gabriele Salvatores.

 

Incontriamo Amanda Sandrelli, attrice a tutto tondo e con una passione speciale per il teatro, perché che lo si faccia o lo si veda, per lei, è un’esperienza che ti può cambiare.

La sua carriera è cominciata con il cinema, e ha lavorato con registi importanti: Soldati, Bertolucci, Salvatores, Benigni.
E poi televisione ma anche molto teatro. Non ci sono state regie cinematografiche, in questi ultimi anni, che l’abbiano interessata e coinvolta a sufficienza?

Ho iniziato a fare cinema che avevo 19 anni.
Benigni mi chiamò per “Non ci resta che piangere” e il film ebbe un tale successo, che in seguito mi arrivarono molte altre proposte.
Sebbene io sia figlia d’arte, non pensavo che questo sarebbe stato il mio mestiere. Volevo fare la psicanalista e devo dire che per molti anni ho continuato a pensare che la recitazione fosse solo una fase della mia vita.
A trent’anni ho capito che era la mia strada, soprattutto il teatro. Lo preferisco al cinema.
Non è tanto per le proposte che ho ricevuto.
Ma perché il teatro è un lavoro che considero “artigianale”, molto più adatto a me.
Una scena non resta impressa come quella di una pellicola e questo mi piace. Una sera posso sbagliare, mentre quella dopo ripetere la scena e trovare qualcosa di più bello.
Il teatro è sincero. Con lui devi essere onesto, non c’è scampo. E questo è uno degli aspetti che preferisco

Ha recitato nel film per la televisione “Perlasca, un eroe italiano”, nel ruolo di Magda. Per coloro che non ricordassero la storia, Giorgio Perlasca era un fascista convinto, che durante la persecuzione ebraica si allontanò dal partito e andò a Budapest, dove salvò la vita ad oltre cinquemila ebrei. Com’è stato lavorare in un film che racconta una storia così forte?

Interpretare Perlasca è stata un’esperienza unica nella mia carriera artistica. È stato sicuramente molto diverso partecipare ad un film che avesse come trama una storia vera piuttosto che una di fantasia. Quando sono stata a Roma, a Palazzo Pitigliani – il Centro per la Cultura Ebraica – ho conosciuto alcuni dei superstiti, ed una signora si è avvicinata e mi ha detto: “lei è una di noi”.
È stata una grandissima emozione, mi ha trasmesso quanto fosse potente il film e quanto fossimo in qualche modo riusciti a dare voce a quel dolore. Queste sono quelle esperienze che quando accadono, ti danno veramente il senso di quello che fai e capisci che stai restituendo qualcosa a coloro che quell’avvenimento lo hanno vissuto per davvero, ed è una responsabilità enorme.
In fondo il lavoro dell’attore è strano: siamo una sorta di “bestiacce” che si vestono e si spogliano di tanti ruoli diversi, entrando ed uscendo dalle parti continuamente. Ma quando abbiamo girato il film, a Budapest, l’atmosfera era molto particolare. Era tutto più sopito. È una di quelle storie da cui non esci. Ti resta tutto dentro. Se ce ne fossero di più da raccontare, di vite come la sua, non vorrei fare molto altro perché a quel punto non ci sarebbe più tanta differenza fra televisione o cinema. Mi considero fortunata ad averne fatto parte.
Negrin, il regista, non lo avevo mai incontrato e non capivo perché volesse proprio me. Sebbene io sia una privilegiata per il cognome che porto, è pur vero che non tutti i provini sono andati bene e spesso alcune cose non le ho fatte. Ma in questo caso lui aveva le idee chiare su tutti noi. Ed aveva ragione perché è un film bellissimo.

Un momento della pièce teatrale "La Locandiera".
Un momento della pièce teatrale “La Locandiera”.

Da due anni è in tour in tanti teatri italiani con “La Locandiera” di Goldoni. 
Un successo ogni replica. Mirandolina è una donna del 1753, ma è tuttora, a mio parere, una donna moderna. Che donna sarebbe, oggi, Mirandolina?

Mirandolina è una donna straordinaria ma se fosse vissuta oggi, avrebbe avuto un epilogo diverso: avrebbe potuto permettersi il rischio di essere indipendente ed innamorarsi. È una figura moderna perché seduce usando il cervello, ed utilizza l’ironia per portare tutti dalla sua parte. Usa le armi che ha a disposizione e quindi il vino, il cibo, la simpatia. Oggi una donna può essere più forte di Mirandolina. Può decidere di essere indipendente, amare, fare una famiglia e ovviamente lavorare. Io sono figlia di un’attrice e quindi di “madre viaggiante” ed io stessa non potrei fare a meno di girare con il teatro e di lavorare. Però conosco persone che ancora si stupiscono delle donne che lavorano e fanno figli. È faticoso. Sicuramente. È anche difficile. Ma è possibile. Tuttavia non diamo per scontato che essere moderni porti alla consapevolezza che tutte le donne siano indipendenti, o si possano “permettere” di esserlo. Perfino oggi esistono donne che per conquistare una libertà “dovuta”, sono state aggredite o addirittura uccise. È un prezzo troppo alto e quindi non ci vuole molto per capire che abbiamo tanta strada da fare.

Le figure femminili hanno un ruolo diverso rispetto a prima, in teatro.
I giovani come lo vivono?

Ci sono molte fiction e film, oggi, che vedono le donne protagoniste e padrone di loro
stesse. Oggi quello che vedi in tv e al cinema è uno specchio di quanto accade. Io sono ottimista e detesto le persone che parlano male dei giovani. Sta a noi educare le generazioni future, da madre di figli maschi, penso proprio agli uomini di domani. Parlare male dei nostri giovani certo non ci deresponsabilizza.
Io lavoro con molte persone più giovani di me. E sono bravi. Hanno meno esperienza, ovvio. Ma hanno anche più entusiasmo, più energia e voglia di imparare. Poi sul palco l’età si annulla perché uno degli aspetti fondamentali del teatro è sapersi fidare dei propri colleghi. Io non ho mai avuto problemi con i giovani e credo che anche grazie a loro, le donne – mi auguro in un futuro non troppo lontano – avranno molto più spazio e saranno protagoniste del loro tempo.

Nel 2015 ha lavorato con Stefania Sandrelli nella pièce “Il Bagno”. Che sensazione si prova a lavorare con la propria madre?

Amanda con la madre Stefania Sandrelli.
Amanda con la madre Stefania Sandrelli.

È stato buffo e bello allo stesso tempo. Una dote straordinaria che possiede mia madre è quella di sapersi affidare. Sebbene lei sia una grande attrice con cinquant’anni di esperienza alle spalle, questo non l’ha resa impermeabile. Una volta, mentre girava “L’ultimo bacio” di Muccino, mi disse “mi chiede cose molto precise, io non so se ci riesco”. Questo per capire con che umiltà e professionalità mia madre affronta ancora oggi il suo lavoro. E a teatro è stato così. Mi
chiedeva consigli e si faceva guidare, non certo per la recitazione, ma perché non conosceva il mezzo teatrale.
Io sono sul palco dei teatri da vent’anni, ed è uno dei pochi posti dove non mi sento a disagio e sono in pace con me stessa. Lei, al contrario, si sente a casa dietro una telecamera. E quindi, durante la lavorazione dello spettacolo, ero io che guidavo lei ed è stato strano, ma bellissimo. Dopodiché, dalla seconda replica in poi, avendo capito come funzionava, ha dato “le piste” a tutti. Posso dire solo questo: lavorare con la propria madre è meraviglioso. È un rapporto di grande amore che non si spezza mai e che come ogni legame, sa essere anche molto faticoso. La madre è la persona alla quale chiedi di più in assoluto e dalla quale ti aspetti di più. È un sentimento viscerale, di pancia. Se non fosse mia madre, non so mica se riuscirei ad avere con lei un rapporto così stretto. È una cosa sulla quale ridiamo spesso.

Lei ha diretto un cortometraggio nel 2004, “Un amore possibile”, per il quale ha concorso ai David di Donatello. Pensa che potrebbe dedicarsi alla regia?

È stata una cosa naturale. Era la classica storia nel cassetto che ad un certo punto ho voluto raccontare. Ed è anche normale, per un attore, avere bisogno di mettersi dall’altra parte dell’obiettivo e scoprire cosa c’è. Oltre a questo ho allestito “Il Piccolo Principe” al Teatro Verdi di Monte San Savino di cui ho la direzione artistica. Quello della regia è un lavoro molto bello ma molto complesso. Sono tutti riferiti a te. E devi essere sempre pronto a dare risposte e soluzioni. Io sono abituata ad andare piano. Proprio perché mi considero una persona privilegiata, ho sempre voluto fare piano ogni cosa, ritagliandomi il giusto spazio per imparare e trovare il mio posto. Ho una vera ansia da preparazione. Non posso lavorare se non mi sento pronta. Quello che puoi imparare è l’esperienza, ma la preparazione è fondamentale, altrimenti non ti salvi. Quindi potrei fare altre regie, certo, ma con i tempi giusti.

Progetti imminenti?

Ho un progetto con Arca Azzurra con cui ho lavorato molto bene. Tuttavia preferisco non anticipare nulla. E poi troveremo sicuramente spazio per replicare ancora “La Locandiera”, almeno per un mese. È piaciuta e questo mi fa felice.

Grazie.