Il Jihadismo talebano considera le donne come il primo nemico.
Nel 2021, si è interrotta ferocemente la conquista che le donne avevano ottenuto con la Costituzione del 2004 (la prima fu nel 1964, successivamente abrogata) che annullava finalmente tutti i divieti che le avevano ridotte a fantocci senza testa.
La legge del 2004 le liberava dal divieto di uscire se non accompagnate da un tutore maschio. Riconsegnava alle donne afgane il diritto allo studio, al lavoro, allo sport e alla vita pubblica. Ma i diritti, in una terra con una mentalità ottusa ed arida, non sono mai contati un granché nei villaggi fuori dalle grandi città, dove queste donne, a dispetto di quanto legiferato, hanno purtroppo continuato ad essere trattate come schiave. Dal 1930 in poi, queste eroine moderne hanno combattuto battaglie politiche fondamentali e con una tale tenacia da vederle vittoriose nell’abolizione del matrimonio forzato, nel divieto di dare un prezzo alle spose, fino all’abolizione della poligamia e dell’infernale abitudine di fare sposare le bambine.
Negli anni ’50 queste stesse donne sono riuscite ad ottenere il sacrosanto diritto di partecipare alla vita pubblica e nel 1964 ad ottenere diritto di voto ed essere elette. Dopo quasi un secolo dai primi successi, però, tutto questo è svanito.
Il 15 Agosto 2021 il regime talebano ha preso nuovamente potere, riprendendosi letteralmente Kabul. Il leader talebano Akhundzada ha dichiarato pubblicamente che non avrebbe tolto il diritto allo studio e al lavoro alle donne, a patto che fossero sempre coperte dallo Hijab. Le settimane a seguire, ed ora, mentre sto scrivendo, le donne che hanno manifestato nelle piazze di Kabul ed Herat sono centinaia e molte di loro sono state picchiate, ferite e stuprate per le strade dai soldati talebani e nessuna di loro è ancora tornata a scuola. Alcuni mesi fa, sempre il Regime ha fatto sapere che le scuole secondarie possono essere frequentate solo dai maschi, mentre all’Università la donna “sarebbe” ammessa (se ovviamente ha già partecipato alle scuole superiori prima del Regime) ma con il divieto assoluto di prendere parte alle lezioni in aule miste. L’istruzione non è più un diritto e va da sé che se le giovani non possono imparare la matematica di base e a leggere, saranno evidentemente escluse da qualunque attività pubblica e privata.
Ovviamente il nuovo “emirato” non consente alle donne di lavorare e coloro che avevano un posto, lo hanno automaticamente perso. Le attività di pubblico servizio ed utilità come le professioni dei medici, avvocati, bancari, infermieri sono tutti lavori banditi, anche per le donne che già ricoprivano quel ruolo, e coloro che tentano di riprendere il proprio posto vengono riaccompagnate a forza dentro casa, rischiando anche il peggio.
I telegiornali hanno messo in onda le interviste di quelle poche che hanno avuto il coraggio di parlare e che ci hanno chiesto aiuto, raccontando che vengono aggredite e stuprate con ogni mezzo, anche con bastoni e lamiere.
Il Ministero per gli Affari delle Donne che era stato creato dopo il fallimento del precedente regime, lo scorso 2001, è stato sepolto e sostituito dal Ministero per la Virtù e la Prevenzione del Vizio, che se la memoria non mi inganna, non è mai esistito in nessun regime del mondo. Lo stesso Ministero ha rinnovato il reato di adulterio. Pena: ovviamente la morte.
Oggi l’Afghanistan è in assoluto il peggiore paese dove vivere al mondo per una donna. Molti accusano il Governo Biden di avere ceduto terreno ai talebani con la decisione di ritirare dall’Afghanistan le truppe statunitensi lo scorso aprile, altri invece, sostengono che siano state le Nazioni Unite a dimenticarsi già da tempo di questa storia.
Nell’Agenda Onu 2030 si specifica al quinto punto che è fondamentale raggiungere l’uguaglianza di genere e l’autodeterminazione di tutte le donne e ragazze.
La complessità di rivoltare il regime talebano non è solo politica, ma sconfina nella capacità o meno di sradicare uno Stato di Diritto non scritto e cioè la Sharia.
Conosciuta come la legge sacra e voce del profeta ma non degli uomini, la Sharia consente non solo un’interpretazione paradossalmente libera del Corano, ma viene purtroppo rafforzata anche dalla Sunna, che in arabo significa proprio
“consuetudine” e cioè un vero e proprio codice del comportamento (trascritto in sei libri per i sunniti e quattro per gli sciiti) che il profeta avrebbe suggerito durante la sua vita con “esempi da seguire”.
Uno di questi è proprio la sottomissione della donna all’uomo con le conseguenti aberrazioni che conosciamo. La Sunna è un codice ma non una legge, così come la Sharia viene tramandata oralmente, eludendo qualunque possibilità di controllo e guida di un organo superiore che sia indipendente, obiettivo e, in caso, sanzionatore. Una testimonianza che arriva in casa nostra è di Fatima Hossani, la fotografa di Kabul, scappata in Italia e premiata durante la Biennale del restauro architettonico di Orvieto, che ha dichiarato come le sue connazionali siano la parte più vulnerabile della società in una zona di guerra.
Sebbene i mass media non diano più molte notizie sulle condizioni di queste donne, il vertice straordinario del G20 che si è tenuto lo scorso 12 Ottobre 2021 sulla crisi in Afghanistan ha dato voce ai Paesi che sentono l’urgenza di trovare una soluzione.
Il Premier Draghi ha infatti avvisato che la questione più delicata è trovare un punto di incontro fra i 20 Paesi più ricchi del mondo.
L’assenza del Premier Putin e di quello cinese, da questo punto di vista, non è sembrata una buona premessa. Anche perché la crisi afgana non è solo alimentata da un’ossessiva dittatura, ma dalla possibilità, come ha sottolineato il nostro Presidente, di diventare un nuovo contenitore per il terrorismo internazionale.
Per questo motivo, Draghi avrebbe suggerito di estendere “la questione” anche ai Paesi Bassi, al Qatar, alla Banca Mondiale e al Fondo Monetario Internazionale.
Augurandoci che questo sia risolutivo, non dimentichiamo che fra tutte quelle donne ci potrebbero essere tutte le nostre donne.