Oltre il cambiamento climatico: l’approvvigionamento idrico rischia di essere motivo di conflitto nei prossimi decenni.
“Se le guerre del XX secolo sono state combattute per il petrolio, quelle del XXI avranno come oggetto l’acqua” dichiarava già nel 1995 l’ex vicepresidente della Banca Mondiale, nonché fondatore della Nuova Biblioteca di Alessandria d’Egitto, Ismail Serageldin.
Oltre vent’anni dopo, nel 2019, in occasione della Giornata mondiale dell’acqua, l’allora Alta rappresentante per la politica estera dell’Unione Europea Federica Mogherini sottolineò l’impegno della UE a “contribuire ad una gestione equa, sostenibile e integrata delle risorse idriche”, promuovendo la resilienza nei confronti dei cambiamenti climatici e di qualsiasi altra cosa che “abbia un impatto sull’acqua”.
La comunità internazionale ha quindi già preso coscienza da anni della necessità di una gestione multilaterale della risorsa più preziosa, necessaria per lo sviluppo economico e sociale di qualsiasi realtà, l’acqua.
Tuttavia, ancora oggi, mancano azioni concrete a favore di una gestione equa e sostenibile di questa risorsa naturale.
Anzi, come spiega un’analisi realizzata dal sito Linkiesta “sempre più Stati si appropriano di bacini acquiferi di piccole comunità locali o nazioni confinanti”. Un fenomeno che ha già dato vita a numerosi conflitti in Medio Oriente, America Latina, Africa e Asia per accaparrarsi quanta più acqua possibile.
Perché le ragioni delle “guerre” per l’acqua risiedono ovviamente nella scarsità della risorsa.
Il 97,5% dell’acqua che copre la Terra, infatti, è salata e si trova principalmente negli oceani. Solo il 2,5%, dunque, è potabile e può essere utilizzata da piante, animali ed esseri umani. Tuttavia, quasi il 90% di questo 2,5% non è disponibile, perché è con-centrata nelle calotte polari dell’Antartico (per ora…). Quindi solo lo 0,26% dell’acqua di questo mondo è a disposizione per l’uomo e per gli altri organismi. Si tratta di soli 93mila chilometri cubi, pari a un cubo con meno di 50 chilometri per lato. Anche l’annuale Rapporto dell’ONU sulle risorse idriche, fotografa un contesto internazionale nel quale difficilmente si riuscirà a trovare una soluzione alle possibili guerre dell’acqua, nonostante già da decenni si sia registrata la necessità di interventi che evitino l’aggravarsi della situazione.
La ragione alla base di questo immobilismo è la concezione, quasi filosofica, che gli attori che competono sullo scenario geopolitico danno al valore dell’acqua, che è anche il focus dell’edizione 2021 del report delle Nazioni Unite.
Secondo il report, saper riconoscere, misurare ed esprimere il valore dell’acqua, e tenerlo in considerazione nell’ambito dei processi decisionali, risulta fondamentale per una gestione sostenibile ed equa delle risorse idriche e per il conseguimento degli Obiettivi di sviluppo sostenibile inclusi nell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, che all’obiettivo 6 prevede appunto “l’accesso universale ed equo all’acqua potabile sicura e alla portata di tutti”.
Se la comunità internazionale e tutti gli attori non facessero proprie queste indicazioni, nei prossimi decenni il mondo rischierebbe di assistere al moltiplicarsi di conflitti relativi all’approvvigionamento idrico, rendendo la corsa all’oro blu sempre più una possibile causa di conflitti e la profezia di Ismail Serageldin sempre più attuale.