“D.O.C.” ovvero “Di Origine Controllata”. È l’ultimo disco del cantante emiliano in cui lui stesso ci invita a riscoprire la vera essenza delle persone.
Di Sugar sappiamo tutto o quasi. Ad esempio, sappiamo che è una leggenda dall’anima blues amata non solo in Italia, ma in tutto il mondo e sappiamo che il suo successo è talmente enorme che nel 2019 si è esibito alla Royal Opera House di Muscat in Oman. Quello che non sappiamo, però, è che anche lui, Adelmo Fornaciari, ha vissuto il lockdown come un momento di riflessione creativa in cui gli sono pesate l’assenza dai suoi fan e le vibrazioni che solo i live gli sanno regalare. Un altro aspetto meno noto è che Zucchero è un amante della natura e della semplicità. A Lunisiana Soul, la tenuta al confine tra la Liguria e la Toscana in cui vive con la famiglia, Zucchero alleva animali e coltiva la terra insieme ai contadini che lavorano per lui. Un impegno etico, ma anche un esempio di come sia riuscito a rimanere concreto e ben radicato nonostante la fama e il successo. Eppure di motivi per “fare la star” ne avrebbe molti: da quel 1981 in cui vinse il festival di Castrocaro con il brano “Canto Te” al Premio Tenco Artista ricevuto nel 2018, passando per i di- versi Festival di Sanremo, Mr. Fornaciari si è fatto conoscere e amare a tutte le latitudini. Nella sua carriera ha collaborato con artisti del calibro di Eric Clapton, Tom Jones, Paul Young, Chucho Valdes e il Maestro Luciano Pavarotti; inoltre si è esibito al Wembley Stadium di Londra in occasione del tributo a Freddie Mercury con Brian May e agli altri membri dei Queen. Nonostante tutto, però, non ha mai dimenticato di rispettare l’es-sere umano in generale. Ecco perché, tra le numerose iniziative benefiche alle quali ha aderito, nel 2000 ha partecipato al progetto discografico Solidays per raccogliere fondi per le vittime dell’AIDS in Africa.
Zucchero, a chi ti ispiri?
La mia musica deriva dal blues, dal soul e dal gospel. Tutto è iniziato nel paese in cui sono nato. Lì ho ascoltato i Beatles e i Rolling Stones, ma anche i Nomadi, l’Equipe 84 e i Camaleonti. Poi ho scoperto Otis Redding e Wilson Pickett: non capivo il significato dei testi, ma ero attratto dalla musica.
Un bilancio musicale di questo 2020?
È stato un anno senza concerti e senza il contatto diretto con il pubblico. Per il mio sessantacinquesimo compleanno, ad esempio, sarei dovuto essere all’Arena di Verona, sul palco, in mezzo alla mia gente e con la mia musica, ma è andata diversamente. Però ho festeggiato girando un video inedito in Piazza San Marco, a Venezia, dove canto e suono il piano. Il risultato è “Sarebbe questo il mondo”.
Di cosa parla il brano?
È una piccola rapsodia scritta di getto, spontaneamente, sulla scia dei miei ricordi d’infanzia, di mio padre, del mondo sognante e ricco di semplicità in cui sono cresciuto. È un brano volutamente in controtendenza. Un’analisi disincantata del mondo attuale, talvolta distante da ciò che si sogna quando si è bambini, ma è comunque il mondo in cui viviamo e abbiamo il dovere di renderlo migliore. Di riscoprirne la bellezza, la genuinità, la natura, che tutto crea e tutto circonda.
Il tuo ultimo album è “D.O.C.”
“D.O.C.” è stato prodotto insieme a Don Was e Max Marcolini ed è stato concepito a Pontremoli, nella Lunisiana Soul dove vivo con mia moglie, mio figlio e gli animali che alle- vo nella fattoria. È uscito lo scorso novembre e lo abbiamo registrato tra Los Angeles e San Francisco. L’album vanta importanti collaborazioni. Voglio ricordare, ad esempio, Francesco De Gregori, Davide Van De Sfroos, Pasquale Panella e Daniel Vueltic, Rory Graham, Steve Robson e Martin Bramer, Anthony White e Mo Jamil Adeniran oltre all’artista scandinava Frida Sundemo.
A quando i live?
A causa dell’emergenza sanitaria tutto è spostato al 2021. Al momento abbiamo fissato quattordici date all’Arena di Verona tra aprile e maggio.
Quale augurio vuoi fare al tuo pubblico?
Vorrei che arrivasse forte, attraverso le note, un messaggio che, oggi più che mai, mi sta molto a cuore: un invito a guarire, ognuno nel proprio piccolo, questo mondo un po’ ammalato, a ritrovare la sua genuinità, fermare l’omologazione e riscoprire i rapporti umani in tutta la loro bellezza, semplicità e verità. Un invito a riscoprire il valore delle piccole cose, la vera sostanza dell’essere umano.