Un mare di plastica


Quando mi capita di prendere in mano una confezione che riporta la scritta: “fatto con plastica riciclata”, anche se si tratta di una piccola cosa, sono contento. Mi sembra sia qualcosa di buono. In effetti, la plastica è utile, è diventata parte integrante dell’economia globale ed è utilizzata in quasi tutti i settori economici: ci aiuta a preservare il cibo, isolare le costruzioni, viene impiegata nell’elettronica e rende i veicoli più efficienti dal punto di vista dei consumi. Tuttavia, l’enorme consumo di plastica nelle nostre società significa anche elevati volumi di rifiuti, inquinamento persistente, danni agli ecosistemi ed un’impronta di carbonio elevata. I dati sulla crescita della produzione, del consumo e dei rifiuti di plastica a livello mondiale sono preoccupanti. Così pure le previsioni per i prossimi anni. Dagli anni ’50 del secolo scorso ad oggi, sono state prodotte globalmente 8,3 miliardi di tonnellate di plastica. Nei vent’anni dal 1995 al 2015 è raddoppiata l’impronta di carbonio della plastica, che vale 2 miliardi di tonnellate di CO2 equivalente, corrispondenti al 4,5% delle emissioni globali di gas serra. E stando alle stime, entro il 2050 arriverà a 6,5 miliardi di tonnellate. Il rapporto dell’Ocse “Global plastics outlook: policy scenarios to 2060” sostiene che senza un’azione radicale per frenare la domanda, aumentare la durata dei prodotti e migliorare la gestione dei rifiuti e il riciclo, gli impatti ambientali della plastica lungo l’intero ciclo di vita saranno più significativi che mai. Il report prevede che, in assenza di nuove politiche più audaci di quelle attuali, entro il 2060 l’uso della plastica potrebbe quasi triplicare a livello globale, passando dai 460 milioni di tonnellate del 2019 a 1.231 milioni. La crescita sarà più rapida nei Paesi in via di sviluppo e in quelli emergenti, sebbene i Paesi dell’Ocse produrranno ancora molti più rifiuti in plastica pro capite. Si stima inoltre che finiscano in mare, ogni anno dai 19 ai 23 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica: il rapporto prevede che l’accumulo di plastica negli ambienti acquatici sarà più che triplicato, esacerbando gli impatti sull’ambiente e sulla salute. Tutti sanno che gli oceani sono fondamentali per l’uomo e per il Pianeta. Ma forse non tutti sanno che i mari producono il 50% dell’ossigeno, assorbono dal 25% al 30% della CO2 presente nell’atmosfera e il 90% del calore in eccesso, mitigando gli effetti del cambiamento climatico. Sono inoltre fonte di sostentamento per circa tre miliardi di persone che dipendono da attività direttamente o indirettamente legate ad essi. La dimensione del problema è tale che l’inquinamento da plastica è oggi considerato una delle più gravi minacce ambientali che incombono sul futuro dell’umanità, a cui si cerca di rispondere a ogni livello. Un team di ricercatori dell’Università del Texas, ad esempio, ha recentemente pubblicato sulla rivista Nature i risultati di una scoperta riguardante una variante enzimatica che sarebbe capace di mangiare la plastica: qualora venisse sviluppata su scala industriale, la soluzione consentirebbe di eliminare quantità enormi di rifiuti di plastica. Data la portata globale del fenomeno, tuttavia, un’azione che voglia affrontarlo efficacemente non può che essere coordinata a livello internazionale. Per questo si guarda con speranza a iniziative come quella che mira ad un trattato internazionale vincolante per porre fine all’inquinamento da plastica. Alla quinta sessione dell’Assemblea delle Nazioni unite l’ambiente (Unea) tenutasi il 2 marzo a Nairobi, è stato raggiunto uno storico accordo per aprire la strada a un trattato globale legalmente vincolante sull’inquinamento da plastica. E proprio come la lotta al cambiamento climatico ha il suo “Accordo di Parigi”, che ha fissato un obiettivo di zero emissioni nette di gas a effetto serra, la plastica ha bisogno di un trattato per mettere il mondo su una strada di inquinamento zero da plastica. La risoluzione, intitolata “End plastic pollution: towards an international legally binding instrument”, apre le porte a una serie di azioni da intraprendere lungo l’intero ciclo di vita della plastica, dalla progettazione del prodotto, alla produzione e allo smaltimento, per il riciclaggio e il riutilizzo. Ovviamente i Paesi a basso reddito troveranno più difficile affrontare l’inquinamento da plastica rispetto a quelli più ricchi: e dunque è necessario un qualche tipo di finanziamento per aiutarli a ridurre l’uso e i rifiuti da plastica. A peggiorare la situazione e a far crescere l’allarme, uno studio pubblicato a marzo di quest’anno sulla rivista scientifica Environment International, ha rinvenuto per la prima volta la presenza di microplastiche nel sangue umano. A partire dai dati di questo studio, destinato probabilmente a restare nella storia, è facile attendersi che indagini e ricerche sull’argomento si moltiplicheranno. È la prova di come, un po’ ovunque nell’ambiente in cui viviamo e persino nelle nostre stesse cellule, siano presenti particelle di plastica, alle quali siamo esposti pressoché di continuo e a nostra insaputa. L’inquinamento da plastica, insomma, ha raggiunto livelli emergenziali: a noi la scelta se tollerarlo o combatterlo. Si tratta, né più né meno di stipulare una polizza assicurativa per questa generazione e per quelle future, che in questo modo potranno continuare a vivere con la plastica e non esserne condannate.

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