Pierfrancesco Favino e “L’ultima notte di Amore”


Pierfrancesco Favino in alcune scene del thriller di Andrea Di Stefano “L’ultima notte di Amore”

Cinquemila euro per un passaggio in macchina: è la proposta irresistibile che Franco Amore, assistente capo della polizia da 35 anni in servizio, riceve quando è in procinto di andare in pensione. È il personaggio interpretato da Pierfrancesco Favino nel thriller “L’ultima notte di Amore”, accolto dagli applausi nell’anteprima al Festival internazionale di Berlino.
In carriera l’attore, che ha vinto una Coppa Volpi alla Mostra del Cinema di Venezia, tre David di Donatello e sei Nastri d’Argento, si è fatto apprezzare per i tanti personaggi interpretati, soprattutto quelli realmente esistiti: dal ciclista Bartali all’anarchico Pinelli, dal criminale Libanese al pentito di mafia Buscetta, fino al vicequestore Noce. La sua abilità istrionica lo ha reso uno degli interpreti più versatili e richiesti, anche a livello internazionale. Lui semplicemente si dice “grato” di quello che ha e sposa il motto del “sii gentile”. Lui gentile lo è davvero e si dedica anche ai ragazzi con la scuola che dirige a Firenze. Forse è così perché ha fatto tanti mestieri prima di iniziare la carriera di attore e ancora oggi racconta di essere uno che va a fare la spesa, in posta e porta le figlie a scuola. Nel lungometraggio diretto da Andrea Di Stefano, Favino veste i panni di un poliziotto fuori forma. Un uomo per bene, probabilmente a torto considerato un debole. Un mite servitore dello Stato perduto in un infernale viaggio: al termine della notte che precede la pensione manda all’aria tutto ciò che conta per lui, il lavoro svolto fino a lì, l’amore per la moglie Viviana, l’amicizia fraterna con il collega Dino, la sua stessa vita.

Com’è interpretare un poliziotto che smette di essere una persona onesta?
Franco Amore ha avuto l’ambizione di essere onesto e onesto è stato fino al suo ultimo giorno di lavoro. Poi gli propongono dei soldi, tanti, lui ha una famiglia da mantenere. Eppure, questo non è un film moralista, non vuole scatenare una polemica su quanto guadagnano i poliziotti, è puro intrattenimento, anche se dalle ricerche molto accurate che sono state fatte prima di scrivere questo film abbiamo visto che tra i poliziotti è abbastanza usuale che possano faticare ad arrivare a fine mese soprattutto nella città più cara d’Italia che è Milano.

Che ruolo ha questa città?
Credo che “L’ultima notte di Amore” non poteva che essere ambientato qui. L’immagine vincente di Milano è uno dei propulsori della storia. In questo contesto la condizione dei poliziotti la vivono anche i precari della scuola, gli infermieri e tanti altri lavoratori. Il protagonista è un uomo che ha l’opportunità di guadagnare in un’ora tre volte quello che guadagnerebbe in un mese. Ha una figlia che studia fuori, una moglie giovane con cui non sta più insieme e come tutti quanti noi si fa due conti in tasca. Credo sia il tipo di poliziotto che possiamo incontrare quando andiamo in un commissariato a farci mettere il bollo sul passaporto.

Questo è un film sulle debolezze dell’individuo?
Il sentirsi debole è il motore delle scelte di questo uomo ma questo è un film più sulla  debolezza indotta dalla società in cui siamo costretti a vivere. Ci sono due debolezze e sono entrambe dettate dall’esterno. La prima è la sua onestà che viene vista come una debolezza dagli altri e invece è una virtù. La seconda è che oggi siamo circondati da un immaginario che ci impone di essere di successo appena svegli alla mattina! Questa condizione ci fa sentire deboli e per questo cerchiamo di mettere pezze all’inadeguatezza. Se Amore potesse vivere di quello che si è costruito sarebbe un uomo libero e felice.

Che impressione fa interpretare un quasi pensionato?
È stato abbastanza strano. Nel mio mestiere non si pensa alla pensione, almeno non io e questo mi ha fatto riflettere: mi sono chiesto cosa vuol dire finire di lavorare e mi sono reso conto che il mio modo di pensare al lavoro è molto diverso. Non separo il tempo del lavoro dalla vita privata perché il tempo speso nel lavoro è dedicato ad una passione e la mia fortuna è che questa passione mi dà anche da vivere. Questo è un privilegio assoluto. Se mi chiedessi se voglio andare in pensione la risposta è mai. Prima o poi accadrà ma è un modo diverso di concepire il lavoro e questo è stato il primo pensiero che ho condiviso con Andrea (il regista Di Stefano, ndr) quando abbiamo iniziato questo film. Di positivo c’è che Amore ha una vita piena di progetti anche quando sta andando in pensione.

Sei stato Buscetta, Craxi, un poliziotto fascista, un anarchico, marito, padre, tradito e traditore. “L’ultima notte di Amore” è diretto da un regista che ha un passato da attore. Hai mai pensato di passare dietro la macchina da presa, visto che hai firmato alcune regie teatrali?
Nella mia carriera ho interpretato, per fortuna, molti ruoli. Ogni tanto qualcuno prova a spingermi verso la regia ma non credo sia un passaggio obbligato. Ho un grande rispetto per chi riesce a raccontare una storia per immagini e non so se avrei il talento necessario per riuscirci. Vero è che se uno non prova non capirà mai se può farlo. Del mondo del cinema mi piace tutto, ogni mestiere. Mi piacerebbe imparare a fare il fonico, l’operatore, il tecnico delle luci, lo sceneggiatore, amo osservare ciò che fanno. Mi piacerebbe avere altri talenti.

Per fare più di un film all’anno qual è il segreto?
Mi viene naturale, è il mio lavoro e mi piace tanto. Ho molta passione per quello che faccio. Spesso quando ci riferiamo ai grandi attori del passato non ci ricordiamo che hanno recitato in oltre cento film. La sensazione è che si facciano più film insieme oggi perché vengono riproposti in piattaforma anche quelli degli anni precedenti. Il problema è che oggi i film non fanno in tempo ad uscire  che sono già nelle piattaforme. Sarebbe necessario che ci fossero almeno 180 giorni tra la sala e l’arrivo in piattaforma perché così non si fa in tempo a vedere i film al cinema. In Francia ci sono leggi che impongono almeno 90 giorni, in Italia no. Dobbiamo fare qualcosa.

Una famiglia di cinema la tua. Una moglie attrice (Anna Ferzetti, figlia di un attore che ha lavorato con i più grandi, da Leone a Antonioni, ndr). Cosa succede in famiglia quando vedono un tuo lavoro per la prima volta?
Sono tutti molto critici. Questo film è piaciuto a mia moglie mentre mia figlia grande non lo ha ancora visto e secondo me a lei piacerà tantissimo. La piccola non credo ami questo genere. Il loro giudizio lo attendo con ansia ed è utile perché sono pareri sinceri. Mi sento come quando recitavo a scuola e i miei genitori venivano a vedermi, anche loro non me ne facevano passare una!

Favino spettatore di se stesso davanti a questo film che dice?
Sono in genere molto cauto ma questo film posso dire che è una figata e che il merito è del regista?

Certo puoi dirlo. Ancora una curiosità: da dove nasce l’appellativo Picchio?
Da mio padre, lui soprannominava le persone e dava i nomi anche alle cose inanimate. Da bambino ero molto vivace, nasce da lì. Tutti mi chiamano così anche perchè il mio nome è lungo. Se mi chiamassero Pierfrancesco non mi girerei.


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