Green Pea: la casa dei consumatori consapevoli


Francesco Farinetti, CEO del primo Retail Park al mondo dedicato al tema della sostenibilità, racconta la filosofia “From duty to beauty”, all’origine della terza vita imprenditoriale della sua famiglia. 15.000 metri quadrati su cinque piani per cambiare il rapporto con l’energia, il movimento, la casa, l’abbigliamento e il tempo libero. Più di cento partner e un pisello verde su ogni prodotto in vendita.

Era l’ottobre del 2018 quando un tornado distrusse sette foreste armoniche nella zona di Belluno. Da quel legno danneggiato nasce la nuova idea imprenditoriale di Oscar Farinetti. Lo stesso legno, con cui si produce un gioiello come il violino Stradivari, è stato utilizzato per costruire il guscio esterno di Green Pea, primo centro commerciale ecosostenibile al mondo che si trova a Torino. Nato al centro del quartiere Lingotto, Green Pea non è solo uno shopping mall ma porta con sé un circuito di speranze per l’alba di un’economia circolare. Cinque piani con una nuova idea di energia, tra moda e stile. L’edificio, completamente smontabile, si compone di materiali tutti riciclabili. I pavimenti sono stati realizzati con legno di recupero. I piani sono illuminati solo da luce naturale e contribuisce a ridurre l’impatto ambientale anche la vegetazione, sulle facciate e del giardino pensile. All’interno ci sono 66 negozi, un museo, tre ristoranti, un club dedicato all’ozio creativo, una spa, tutto questo in uno straordinario ambiente di interazione multisensoriale. Dopo Eataly, nato per riportare il cibo dalla terra alla tavola, ora la sfida è capire come muoversi, vestirsi e abitare nel rispetto dell‘ambiente. Ce la racconta Francesco Farinetti, CEO di Green Pea.

Si sta diffondendo la consapevolezza che nel rapporto con l‘ambiente siamo al capolinea: o ci giriamo e ripartiamo con una nuova linfa, o la corsa termina qui. Un messaggio forte che tutti stanno lanciando, dal Papa a Biden, passando per il Green Deal della Commissione Europea. Questo in teoria, poi c’è il mondo reale, del consumo e della produttività e qui entra in gioco Green Pea o sbaglio?

È assolutamente così. Ormai non ne dobbiamo parlare come di una buona o di una cattiva notizia ma come di un dato di fatto: il 90 per cento degli scienziati è d’accordo nel dire che seno n cambiamo le nostre abitudini di produzione e di consumo la specie umana non ha futuro. Non si tratta di salvare il pianeta ma di salvare la specie umana. Sono trecentomila anni che siamo su questo pianeta. Allora la domanda delle domande è quella che campeggia all’ingresso di Green Pea: dobbiamo smettere di consumare o dobbiamo iniziare a farlo con rispetto? Da qui nasce questo nuovo format, un paradigma del consumo fondato sul rispetto della terra, dell’aria, dell’acqua e delle persone. Molto spesso ci dimentichiamo che le persone fanno parte dell’ambiente. Con Green Pea abbiamo voluto dare una risposta di retail, perché questo noi facciamo, partendo dalla filosofia di Eataly, con la quale abbiamo studiato il rapporto con la terra, apprendendo il trittico di Carlo Petrini e di Slow food “buono, pulito e giusto”. Ora diventa “bello, pulito, giusto e duraturo” perché lo portiamo nel mercato più grande, quello dei servizi e dei beni durevoli.

La sostenibilità è sulla bocca di tutti. Se ne parla ai corsi di formazione, nelle piazze dove gli studenti incontrano Greta, sulle riviste per il tempo libero. Come si riconosce l’autenticità e come si combatte il rischio di fermarsi agli slogan?

Questo è il grande tema, l’incubo per ognuno di noi. Noi affrontiamo la questione in maniera ontologica perché ci chiamiamo Green Pea, abbiamo green nel nostro brand, ma la si affronta solo con la verità. Noi abbiamo studiato per dieci anni il tema dei prodotti e dei servizi, abbiamo selezionato oltre 140 partner, con i quali abbiamo stilato un manifesto dei valori. Siamo un po’ particolari, lo abbiamo messo anche come primo allegato ai nostri contratti commerciali. È un impegno forte verso la sostenibilità a diversi livelli, perché la sostenibilità non deve essere intransigenza ma un percorso. Ed è per questo che noi abbiamo coinvolto grandi multinazionali come FCA – ora Stellantis – passando attraverso soggetti come Patagonia o Borbonese, fino a piccoli produttori come Le candele di Franca, una signora di 65 anni che affronta per tutta la vita ha voluto fare solo candele sostenibili.

Scusi, in che modo?

Facendosi aprire le aziende francesi di produzione dei profumi a Grasse per scegliere l’essenza solo alimentare, da abbinare allo stoppino biologico naturale. Oggi Franca è felice perché fa dalle quattro alle cinque candele al giorno. Quindi il vero tema è la verità, cioè raccontare fino a dove si è arrivati ad essere green e per questo che noi, per ogni prodotto, abbiamo un disciplinare. Questa ricerca di verità si può fare anche grazie alle nuove tecnologie che, se ben usate, ci aiutano a diminuire quel gap verso la sostenibilità. Ogni bene o servizio diventa così sostenibile dal punto di vista economico: solo se la sostenibilità è per tutti riusciamo davvero a invertire il paradigma.

In tre aggettivi, quali requisiti devono avere i vostri partner?

Le rispondo con tre definizioni in inglese che rendono meglio: prima di tutto un partner deve essere trustable, vero e veritiero, deve dare fiducia e aprire la filiera. Noi siamo andati a visionare i plan di produzione e abbiamo approfondito la ricerca della costruzione, perché il grande tema è conoscere gli ingredienti e come questi vengono lavorati. Seconda qualità: essere davvero committed, non sostenibili solo di facciata. Per verificare questo aspetto noi abbiamo incontrato oltre 500 partner e tutti ci hanno proposto una linea dedicata. Questo per noi è un primo passo ma poi abbiamo approfondito cosa succederà all’azienda nel futuro, per capire se la direzione della sostenibilità è davvero quella intrapresa. Terzo: il partner deve essere people oriented, che vuol dire mettere le persone al centro della vision. Un’azienda può usare le migliori materie prime, può produrre con il minor impatto ambientale ma se non si concentra sul tema del welfare aziendale non dimostra rispetto per le persone.

In Green Pea c’è tanta innovazione e non credo sia un caso che si stia affacciando l‘era del 5G. Le nuove tecnologie sono un’opportunità. Eppure, paradossalmente, qualcuno ritiene che ci potrebbe essere incompatibilità con il rispetto dell’ambiente.

Il mondo va sempre di corsa e noi dobbiamo andare alla stessa velocità. Il tema Connetted Mind del prossimo Expo di Dubai è perfetto: solo attraverso la velocità di connessione noi potremmo avere più informazioni possibili. Sono queste informazioni che ci portano a conoscere, in trasparenza, i metodi di produzione e a collegarci con i consumatori, facendo vivere esperienze fisiche e digitali con l’e-commerce. La velocità di connessione rende più estesa la stessa esperienza e, grazie alle tecnologie come il 5G ma ce ne sono anche altre, possiamo conoscere la filiera produttiva.

Si leggono recensioni molto positive su Green Pea ma qualcuno si lamenta dei prezzi. Sui cibi più cari ricordo una risposta esilarante di suo padre all’inaugurazione di Fico che disse: “Basta consumare la metà, in fondo c’è tanto spreco”. È giusto che il buono costi sempre di più e perché?

Dal punto di vista prettamente produttivo è corretto che costi di più, il tema è quant’è quel di più. Con Eataly abbiamo dimostrato che è possibile proporre il più vasto panorama possibile di cibi di qualità a prezzi variabili. Un esempio: abbiamo dell’ottimo Barbera a € 2,5 al litro che tutti si possono permettere fino alla bottiglia di pregiato Barolo che costa € 1.000. Lo stesso tema lo abbiamo affrontato sui due pilastri su cui si fonda Green Pea: il fashion e il design. Abbiamo scelto di avere un’offerta che noi definiamo Top & Top. Prediamo ad esempio un paio di scarpe Superga, sostenibili per storicità perché progettate nel 1923 in cotone biologico naturale, gomma della suola in caucciù e alluminio riciclato. Le
riproponiamo nella stessa versione a € 45. Lo stesso per il design. L’Italia, lo sanno in pochissimi, è il primo Paese al mondo per recupero del legno. Ecco una nostra cucina in legno cento per cento riciclato, accessoriata di elettrodomestici di ultima generazione a tripla A e quindi a basso consumo, viene proposta a € 3.500. Poi ci sono cucine che possono arrivare a cifre a molti zero.

Green Pea punta sul turismo, oltre che sul commercio: chi visita una méta ricerca il bello, anche da comprare. E, non ultimo, un luogo dove fare un’esperienza.

Una sfida è quella del far ripartire il turismo che in Italia come altrove ha subito uno choc incredibile. Su Green Pea abbiamo fatto un grande investimento per farlo diventare un vero luogo della città. Siamo inondati da centri commerciali che sono dei non luoghi e anche su questo si fonda il nostro manifesto. Con le stesse specificità con cui abbiamo selezionato i partner, allo stesso modo abbiamo costruito la nostra struttura. Prima di tutto, Green Pea è un luogo che è già destination perché abbiamo ristoranti e spazi per il relax, anche in chiave turistica. Veniamo da anni in cui il turismo a Torino sta crescendo a doppia cifra, partivamo da una quota bassa e quindi far meglio era facile ma chi scopre la città come turista la rivaluta con una meraviglia inattesa. Eataly registra già un 20 per cento di turisti. All’ingresso di Green Pea c’è un corner dedicato alla promozione del territorio, in accordo con le istituzioni locali, per collaborare attivamente sull’incoming. La nostra idea è far diventare Green Pea un luogo da visitare per comprendere quali sono le opzioni di acquisto sostenibile e, se comprano da noi, siamo ancor più contenti.

Green Pea in Italia resterà solo a Torino. Conferma che aprirete invece all’estero?

Durante il primo lockdown siamo stati a un passo da aprire prima all’estero che in Italia! La richiesta di apertura del format all’estero è fortissima e le dico anche perché. Tutti i grandi retail nel mondo oggi sono chiamati a fronteggiare due sfide: una è l’online, ovvero dare una risposta alla domande delle domande che è: “Perché un consumatore deve alzarsi dal divano e andare in un luogo fisico se, senza scomodarsi, può fare lo stesso acquisto e magari pagare anche meno?”. Lo fa solo se in quel luogo c’è un’esperienza che gli lascia qualcosa di memorabile. Secondo motivo: se l’offerta è diversa e online non si trova. Per questo abbiamo lavorato con i nostri partner per creare delle collezioni e delle linee esclusive per il brand Green Pea.

Spingerete per ottenere quell’appeal da status symbol che già appartiene al brand Eataly?

Abbiamo scelto il pisello perché verde e sferico come è la terra. Il pisello è un prodotto vivo e per questo deve diventare il simbolo del rispetto. Ci immaginiamo che come negli anni Novanta fosse cool avere un coccodrillo sulla polo, negli anni Venti dove il grande tema è salvare il pianeta, diventi altrettanto cool avere un piccolo Pea che ci faccia sentire responsabili, consumatori consapevoli e, perché no, persone socialmente apprezzate.

Qual è il consiglio che suo padre le ripete più spesso?
Svegliati tutte le mattine con qualcosa da fare e alla sera vai a casa solo quando hai tracciato una x vicino a tutte le cose da fare.

Ricordo di aver sentito parlare per la prima volta suo padre pochi mesi dopo aver iniziato da poco a lavorare in redazione. In un’intervista raccontava di voler lasciare il motto “l‘ottimismo è il sapore della vita” per iniziare una sua nuova vita. Da figlio cosa si prova nell’avere un genitore le cui vicende si leggono sui libri di storia dell’imprenditoria?

Grande orgoglio, soddisfazione e anche fortuna. Nessuno sceglie i genitori. Essere figlio di mio padre da un lato dà una grande responsabilità e dall’altra la sensazione di essere un privilegiato. Poi devo dire che ho un padre straordinario, lascia a tutti e tre noi figli assoluta libertà di esprimerci. La grande educazione, però, la devo a mia madre che è stata più presente. Anche grazie a lei mi sento fortunato, responsabile e felice.

Anche Green Pea è femminile, in quanto Terra, come sua madre. Tutto nasce da chi genera vita. Tutto torna.