Gender gap: c’è ancora molto da fare


Paola Gomiero, Direttrice FABI Plus

Per gender gap, si intende la disuguaglianza – in termini sociali e professionali – tra uomini e donne e anche se si combatte da generazioni, questa mancanza di equità tra i sessi non è ancora stata superata; anzi, le conseguenze economiche della pandemia hanno accentuato queste disparità. La crisi causata dal Covid-19 ha colpito tutta la società, ma alcune categorie sono state più penalizzate. Le donne, per esempio, si sono trovate esposte su più fronti: economico, familiare e sanitario. Questo perché da una parte sono più occupate in settori maggiormente colpiti dalla pandemia (come per esempio il turismo, la ristorazione o i servizi) e in secondo luogo perché la maggiore necessità di cura tra le mura domestiche si è scaricata in gran parte sulle loro spalle. Queste circostanze rischiano di vanificare i progressi conquistati, a caro prezzo, sulla fronte della parità di genere. Secondo il Global Gender Gap Report, del World Economic Forum, per colmare il gap, tenendo conto dei quattro ambiti di analisi del report (politica, economia, educazione e salute) saranno necessari 135,6 anni rispetto ai 99,5 anni ipotizzati dal rapporto ante pandemia. Numeri che stanno a significare un vero e proprio suicidio economico. Infatti, decine di analisi e ricerche in ogni campo, dalla macroeconomia alla demografia, dalla finanza alla sociologia, ribadiscono da decenni che eliminare il gender gap significherebbe aumentare ricchezza e benessere per tutti, non solo per l’universo femminile. Come sottolineato più volte anche dal Fondo Monetario Internazionale, pure gli uomini trarrebbero beneficio da una maggior partecipazione femminile al mercato del lavoro, poiché “un aumento della produttività si tradurrebbe in un incremento dei salari per tutti”. La problematica non si riferisce esclusivamente alla quantità della popolazione lavorativa, ma anche alla qualità: è risaputo che uomini e donne portano nel mondo del lavoro approcci, idee e soluzioni differenti, generando così un potenziale che ha un enorme valore economico. Eppure, il mondo – in particolare i paesi in via di sviluppo – continua ad ignorare talento e risorse femminili, e nel Terzo Millennio, esistono ancora 18 stati nei quali un marito può legalmente impedire alla moglie di lavorare e in ben 104 paesi alle donne è vietato svolgere alcune professioni. Aumentare la partecipazione delle donne al mondo del lavoro rappresenterebbe allo stesso tempo un imperativo di civiltà e la possibilità di redistribuire equamente quasi un quarto della ricchezza mondiale.