Discriminazione nel fashion: l’Intelligenza Artificiale e un’App per contrastare il fenomeno


La dottoressa Barbara Bianconi, responsabile del LABoratorio d’Impresa 5.0

African Fashion Gate e LABoratorio d’Impresa 5.0 hanno avviato il progetto Hearth a favore dell’inclusione nel mondo della moda. La diversità è un plus che fa la differenza perché apre la mente a nuovi modi di vivere e di pensare. Eppure, ancora oggi, essere non conformi ai canoni estetici tradizionali può essere motivo di esclusione o di discriminazione. La cronaca purtroppo ci insegna che talvolta le persone diversamente abili o con una body shape che supera le classiche misure di 90-60-90 centimetri o, ancora, chi non ha un colore di pelle tipicamente caucasico può essere soggetto a discriminazione. Il fenomeno, come sappiamo, non si limita all’aspetto, ma riguarda anche la sfera sentimentale e il genere. Eppure, citando l’obiettivo 5 dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, in merito alla differenza tra lui e lei il fine è “ottenere le pari opportunità tra donne e uomini nello sviluppo economico, l’eliminazione di tutte le forme di violenza nei confronti di donne e ragazze (compresa l’abolizione dei matrimoni forzati e precoci) e l’uguaglianza di diritti a tutti i livelli di partecipazione”. In attesa e nella speranza che questo obiettivo si concretizzi e che ogni forma di discriminazione diventi obsoleta, ci sono delle realtà che cercano di agire concretamente per contrastare il fenomeno in tutti gli ambiti, incluso nella moda. Sì, perché quello che in apparenza è uno dei settori più open mind dell’economia mondiale è in realtà ancora legato a certi canoni estetici e le passerelle lo dimostrano. Rispetto alle colleghe “bianche” e magre, le modelle di colore o con una taglia che supera la 38-40 sono infatti ancora una minoranza. Tra coloro che si adoperano per fare la differenza ci sono due protagonisti che appartengono ad ambiti molto diversi tra loro, ma che sono accomunati dalla stessa volontà di contribuire al cambiamento: African Fashion Gate e LABoratorio d’Impresa 5.0 che hanno unito le proprie skill per dar vita al progetto HeartH e all’App HH che aiutano a contrastare le forme di discriminazione in tutti i settori, incluso quello della moda. Abbiamo incontrato Barbara Bianconi, responsabile del LABoratorio d’Impresa 5.0, per approfondire l’argomento.

Nicola Paparusso, fondatore di African Fashion Gate e ideatore del premio La Moda Veste la Pace

Dottoressa Bianconi, in cosa consiste il progetto Hearth?
Hearth, che sarà operativo a partire da questo autunno, si occupa di Data Processing per l’analisi delle segnalazioni di discriminazione, produce report e statistiche legate al tema che sono destinate alle istituzioni nazionali ed europee, all’editoria e al mondo accademico utilizzando tecniche di Analytics. Inoltre, mette a punto piani di intervento e di remediation per indirizzare le evidenze di disagio sociale che emergeranno. È uno strumento fondamentale per avere una fotografia precisa del fenomeno discriminatorio ed è stato pensato anche per monitorare tale problematica nel mondo della moda che ha un contesto lavorativo internazionale in tutta la filiera.

L’App HH, invece, quale finalità ha?
Si tratta di uno strumento fondamentale per raccogliere le segnalazioni di fenomeni discriminatori di qualsiasi tipo nei confronti delle persone. L’App, che è stata concepita per smartphone e web ed è implementata con tecniche di chatbot basate sull’Intelligenza Artificiale, è stata sviluppata da una società formata da ragazzi poco più che ventenni che collaborano con noi.

Di cosa si occupa il LABoratorio d’Impresa 5.0?
Si tratta di una società benefit conosciuta anche come John Bosco LAB ed è un valorizzatore di creatività progettuale, di intraprendenza e di cultura di impresa. Il JB LAB, forte del contributo di valore dato dal dialogo con professionisti, imprenditori e aziende sia di Verona, sia del Veneto sia nazionali, mette a disposizione dei giovani le migliori competenze
per stimolare i talenti di ciascuno di loro.

Giorgio Armani con il premio La Moda Veste la Pace, vinto nel 2020

A proposito di giovani, sono loro gli ideatori sia di Hearth sia di HH. Un risultato doppiamente importante?
Il tema dell’inclusione sociale per realizzare una cittadinanza responsabile è da sempre uno dei focus del Sistema Educativo Preventivo che guarda al rapporto tra l’impatto educativo offerto ai ragazzi e alle ragazze e il suo riflesso per il bene della società. In John Bosco LAB ci impegniamo affinché tale sistema trovi significati aggiornati con i nostri tempi: siamo infatti convinti che i percorsi lungo i quali trovare le forme di contrasto ai fenomeni di esclusione, discriminazione e razzismo debbano partire da un modello che sia inclusivo verso i giovani e li renda protagonisti. Come immaginavamo, i ragazzi hanno accettato con entusiasmo la sfida proposta da African Fashion Gate e dal suo fondatore Nicola Paparusso, sapendo di poter contare su tutta la struttura del LABoratorio d’Impresa John Bosco, e siamo davvero orgogliosi del risultato raggiunto. Possiamo infatti dire che Hearth si avvale dell’Intelligenza Artificiale, ma anche di un cuore umano.

Da voi i ragazzi e le ragazze hanno una possibilità concreta di trasformare i progetti in realtà. Una case history interessante è la lavatrice spaziale. Di cosa si tratta?
Un gruppo di allievi di diciassette anni, che appartengono al nostro Istituto Salesiano Don Bosco di Verona, alla fine di aprile del 2019 ha vinto il LEGO FIRST, il campionato mondiale di Robotica, classificandosi al primo posto a Houston, contro 40.000 squadre internazionali. Il loro progetto scientifico, diventato anche brevetto, è stato definito dai giornalisti “lavatrice spaziale” e consiste in un sistema di pulizia ed igienizzazione dei vestiti degli astronauti in orbita, in assenza di gravità e di acqua.  Oggi quel progetto è un brevetto internazionale. A partire da questa grande avventura abbiamo constatato che i giovani sono pieni di risorse, creatività e passione e che quando le idee sono ben pianificate diventano realtà. Per questa ragione crediamo in loro, vagliamo le proposte che ci sottopongono e offriamo la possibilità concreta di realizzarle. Con noi collabora anche un team tecnico di alta competenza che si occupa del processo di valutazione e del conseguente supporto necessario alla creazione della start-up, al finanziamento del piano industriale e allo sviluppo sul mercato di riferimento.

Tornando ad Hearth e ad HH, protagonista con voi è African Fashion Gate. Ci presenta questa importante realtà internazionale?
African Fashion Gate è un laboratorio permanente di iniziative culturali e interventi concreti contro le superstiti forme ed episodi di razzismo, discriminazione ed esclusione nel mondo della moda. L’associazione è anche iscritta al Registro Unico Nazionale del Terzo Settore e al Registro UNAR delle associazioni e degli enti che svolgono attività nel campo della lotta alle discriminazioni. Il suo fondatore è Nicola Paparusso che è anche l’ideatore del premio La Moda Veste la Pace che negli anni è stato conferito a Giorgio Armani, Valentino Garavani, Vivienne Westwood e ad altri esponenti della moda che si sono adoperati contro il razzismo, la discriminazione e l’esclusione nel mondo del fashion. Dal 2022, infine, il Presidente Onorario è Makaziwe Mandela, figlia del Premio Nobel per la Pace Nelson Mandela. Una dimostrazione ulteriore di come certe tematiche siano insite nel DNA di questa associazione.

La vostra collaborazione è quindi una conseguenza naturale?
Assolutamente sì. Lo studio dei fenomeni discriminatori in genere, ed in particolare nel mondo della moda, è da sempre l’obiettivo principe di African Fashion Gate ed è una sfida importante non solo per questa realtà, ma anche per noi del John Bosco LAB, data la delicatezza e la complessità del tema. L’associazione di Nicola Paparusso ha realizzato nel tempo numerose indagini per rendere visibili questi fenomeni e per studiare le diverse espressioni dei processi di discriminazione utilizzando differenti strumenti metodologici per cui essere stati intercettati e scelti per lavorare insieme su questi temi non solo è un piacere, ma è anche un dovere. Benché molto diverse, le nostre realtà si completano e credo fermamente che insieme possiamo fare la differenza.