La carne artificiale o “carne coltivata” si ottiene prelevando cellule staminali da un animale. La tecnica è già ampiamente diffusa in medicina rigenerativa, dove si attingono cellule da un muscolo vivente per coltivarle in un bioreattore (un’apparecchiatura in grado di fornire un ambiente adeguato alla crescita di organismi biologici) che riproduce temperatura, acidità e pH di un normale corpo animale. Queste cellule vengono poi alimentate tramite una miscela di nutrienti che permette loro di moltiplicarsi. Il sistema, portato su scala industriale, sarà in grado di produrre da una sola cellula circa 10mila chili di carne. Un’ipotesi che ha sollevato più di una levata di scudi, a partire dal Ministro italiano dell’Agricoltura, che in una intervista al Corriere della Sera, l’ha definita “un’aberrazione”. Ma questa posizione non è che la punta dell’iceberg di una discussione che, nel settore, va avanti da qualche anno e che, secondo alcuni, costituirà uno degli spartiacque tra chi sogna un’agricoltura più rurale e a misura d’uomo (proseguire con gli allevamenti, magari meno intensivi, per preservare il naturale ordine del sistema alimentare) e chi è invece lanciato verso un tecno-positivismo senza freni (dove tutto ciò che è prodotto in laboratorio è da incoraggiare), trattandosi dell’unica via per fronteggiare le disastrose conseguenze del cambiamento climatico, ma anche la persistente carenza di cibo a livello mondiale.
L’utilizzo su larga scala, infatti, potrebbe influire positivamente sul sostentamento di una popolazione globale in crescita e che arriverà a una probabile stabilizzazione solo nella seconda metà del secolo; inoltre, abbatterà drasticamente i tempi di produzione di un hamburger – che nel caso della colti vazione cellulare impiega poche settimane – mentre in quella naturale un anno e mezzo. Secondo il WWF, gli allevamenti sono oggi responsabili del 14,5% delle emissioni di gas serra e quelli intensivi costituiscono la causa principale delle pratiche di deforestazione diffuse nel mondo. Per un chilo di carne bovina, inoltre, servono in media 11.500 litri d’acqua, mentre per la stessa quantità di carne coltivata si parla di quantità che si aggirano tra i 367 e i 521 litri. C’è da aggiungere che dai tempi del primo hamburger prodotto in laboratorio (anno 2013, costo per ottenere 142 grammi di carne pari a una cifra tra i 250 e 290mila euro!) in dieci anni i costi sono crollati: secondo la rivista Forbes, la produzione di un hamburger artificiale ha raggiunto il prezzo di 9,80 dollari, “perché la scala della produzione è migliorata notevolmente”, anche se il prodotto “resta ancora più caro di un hamburger in un negozio di alimentari o al ristorante”. L’altra faccia della medaglia riguarda però chi nel settore dell’allevamento intensivo ci lavora da anni, o da sempre. Gli allevamenti sono anche vitalità economica di interi territori, garantiscono la biodiversità, mantengono in equilibrio il consumo di suolo, evitando l’inselvatichimento di intere aree.
Oltre a questo equilibrio naturale, ce n’è uno economico: solo in Europa l’intera filiera della carne (dai veterinari alla grande distribuzione) garantisce occupazione a sette milioni di persone, mentre in Italia – nel settore zootecnico – lavorano 270mila imprenditori agricoli e 250mila dipendenti. Inoltre, per quanto riguarda l’abbattimento degli impatti ambientali, se da un lato è vero che la riduzione degli allevamenti intensivi ridurrebbe drasticamente le emissioni di CO2, dall’altro la quantità di energia per produrre carne coltivata è – perlomeno ad oggi – maggiore rispetto a quella necessaria per la carne naturale. Il futuro della carne coltivata, comunque, sembra roseo. Secondo McKinsey, la carne artificiale potrebbe generare un mercato da 25 miliardi di dollari entro il 2030, mentre per i ricercatori di At Kearney, entro il 2040 il 35% di tutta la carne consumata nel mondo proverrà da cellule staminali, e la parte restante del mercato sarà spartita tra sostituti a base vegetale (25%) e la carne da macello (40%), che comunque, a quanto pare, sopravviverà alla rivoluzione.
Il futuro del business pare così roseo da attirare gli interessi dei tycoon del mondo tecnologico, come Bill Gates, Richard Branson, Sergey Brin, Peter Thiel e Li Ka Shing, oppure di personaggi dello spettacolo come Leonardo DiCaprio, o di giganti del settore alimentare come Jbs, Tyson Foods, Kellogg’s e Cargill. Per questi motivi, al di là del posizionamento più o meno favorevole di ognuno di noi, la carne artificiale può essere ben considerata “uno dei business del 21esimo secolo”. A noi la scelta quindi tra carne coltivata, carne vegetale e la cara vecchia carne da macello: ora ci resta solo da capire cosa cucinare come contorno.