Gene Gnocchi a teatro parla con Dio


In scena con “Se non ci pensa Dio, ci penso io”, l’attore, con la sua tipica comicità raffinata e il sarcasmo che lo denota, prova a fare qualche domanda al Creatore. Il dialogo diventa uno show esilarante.

All’anagrafe Eugenio Ghiozzi, Gene Gnocchi incontra il successo televisivo, come molti altri suoi colleghi, dopo alcune apparizioni al Maurizio Costanzo Show. Vecchio compagno di burle di Teo Teocoli ai tempi di “Scherzi a Parte” e in passato ospite fisso di “Quelli che il Calcio”, il comico, cabarettista e scrittore, fa ridere gli italiani da oltre quarant’anni. Due mogli e cinque figli, nel febbraio di quest’anno è diventato nonno per la prima volta del piccolo Eugenio, che ha preso il suo nome.

Ospite fisso in tv, torna in teatro con “Se non ci pensa Dio, ci penso io”, uno spettacolo in cui la stralunata comicità che lo caratterizza da sempre si mescola con riflessioni a volte sarcastiche, a volte amare. Dopo aver saputo che Dio è una frequenza quantistica, Gene ingaggia un tecnico, pensando sia esperto in materia di quanti, per parlare con l’Assoluto attraverso una vecchia radio e farsi spiegare da Lui il perché di tante cose che succedono sulla terra e che non lo convincono.
Lo attende una tournée teatrale con molte date anche per portare in scena l’altro suo spettacolo “Il movimento del nulla”, dove prende in giro le promesse mai mantenute dai politici.
Lo incontriamo di buon mattino in una giornata uggiosa di pioggia autunnale che culminerà con una sua performance al Teatro Concordia di Venaria, a pochi passi da Torino. Carinamente, si presenta nonostante le serate dopo il teatro, notoriamente, non finiscano mai esattamente così presto.
La ringrazio per questo.
Mi sveglio presto, ho due bambine piccole e mi sono abituato.

Cosa le piace di più del suo mestiere di comico?
Beh, la cosa più interessante è andare davanti a una platea diversa e vedere come reagisce alle cose che scrivi, perché è sempre emozionante vedere se il pubblico apprezza o meno. È questo che ci fa fare questo lavoro. E poi questo mestiere ci permette di dire quello che vorremmo sentire quando scriviamo e quello che vorremmo leggere quando compriamo un libro.

Come si rivolge a Dio in questo spettacolo e che cosa gli chiede?
Lo spettacolo non chiarisce cosa farà Dio ed è proprio questo il motivo per cui va visto fino in fondo. Il protagonista interpella un elettricista perché avrebbe sentito dire che Dio sarebbe sintonizzato su una frequenza quantistica e quindi vuole delle risposte da lui, ma non si sa se Dio risponderà e, se sì, in che modo. Non mi faccia spoilerare di più (ride, ndr).

Va bena ma ci dica almeno quali sono queste domande?
Sono molteplici: dal perché dei monopattini al perché dei tanti programmi di cucina, al perché dei voli low cost e della sovrappopolazione in certi contesti e non in altri. Il motivo fondante dello spettacolo è chiedersi il perché di certe cose.

Fa più ridere o più riflettere?
Spero più ridere. Cerchiamo di riportare la gente a teatro con un sorriso che stempera le brutture in cui viviamo. Per questo ho partorito questo spettacolo, scritto a più mani mentre eravamo chiusi in casa.

E nella vita che cosa la fa davvero ridere?
Tante cose. In questo momento le mie figlie piccole mi fanno morir dal ridere perché mi prendono in giro in un modo fantastico. La più piccola mi chiede di fare dei selfie perché mi dice: “Babbo, tu sei famoso!”. Vengono a vedere i miei spettacoli e ridono anche quando non devono, sono meravigliose. Poi mi fa ridere anche tanta gente che fa questo lavoro, ma qui è meglio non approfondire. (Ride di nuovo, nrd).

Lei è molto presente in tv, che cosa le piace guardare da spettatore?
Vedo molto spesso le serie e i comici. Ho appena visto su Netflix uno spettacolo comico molto bello con Steve Martin and Martin Short, “An evening you will forget for the rest of your life”. Ho visto volentieri anche l’ultimo spettacolo di Ricky Gervais che colpisce con il suo sarcasmo e va contro i famosi e la società che prende tutto sul personale.

Spesso viene invitato nelle trasmissioni televisive in qualità di comico. Della tv generalista cosa le piace?
Seguo lo sport. Il calcio ovviamente mi piace e poi devo scriverne sulla Gazzetta, ma in generale mi piacciono il tennis, l’atletica.

La sua comicità però nasce sul palcoscenico con il cabaret. Ha esordito nei primi anni Ottanta come comico a Zelig. Come andò all’inizio: ci racconti qualcosa dei suoi esordi.
Devo dire che sono stato quasi costretto ad esibirmi dal mio collega dello studio legale, Stefano Galli. Fu lui a portarmi a Zelig perché riteneva che io avessi le qualità di intrattenere divertendo. Agli inizi la persona determinante è stata lui. Dopo pochi giorni, avevo già scritto un monologo sul diventare torero. Da lì è stato tutto molto rapido, ho fatto “Emilio” e poi “Mai dire gol”.

Se potesse chiedere a Dio, oggi, una cosa per il futuro, cosa chiederebbe?
Di far smettere subito tutte queste guerre e questo clima di incertezza che preoccupa per il futuro. Credo che le giovani generazioni abbiano diritto di vivere con maggiore serenità, specie dopo gli anni della pandemia.

Contrariamente a quanto si crede ai giovani piace il teatro. Bello vederli in coda anche fuori dai teatri e in fila per acquistare gli abbonamenti.
I giovani sono migliori di come vengono descritti. Si regalano il teatro, lo amano, come lo amiamo noi che facciamo questo mestiere. Sia che in sala ci sia il tutto esaurito e sia che ci siano poche persone, lo spettacolo non cambia. La televisione mi dà la notorietà e la popolarità ma il motivo per cui io sono qui è andare in una città sempre diversa e vedere che ovunque c’è qualcuno che sceglie di venire a vederti per divertirsi e per regalarsi, con raffinatezza, una parentesi di spensieratezza. Questo sì che è un bel dono!

Ha mai pensato a un suo motto nella vita?
Il mio motto è: “Meglio fare dieci cose male, piuttosto che una bene”. Il mio primo spettacolo si intitolava, infatti, “Decatlon” che rappresenta lo specchio della mia vita: ho scelto di essere un comico dopo essere stato un avvocato, un calciatore, un frontman di una band e ho fatto tutto in modo discreto. Posso dire di aver assaporato tutte le particolarità di queste professioni e questo mi ha fatto capire a fondo chi volessi essere davvero, cosa che magari non avrei capito se mi fossi fermato al primo lavoro.

Se le due figlie piccole, quindi, le dicessero un domani di voler seguire le orme di papà, lei sarebbe contento?
Certamente, mi farebbe piacere. Mio padre mi diceva sempre che nella vita non dovevo avere rimpianti e io lo ripeto ai miei figli. Bisogna provare diverse strade per capire se si hanno le qualità per cimentarsi e riuscire ad essere bravi in qualcosa.

E lei lo è diventato.
Mah, posso dire di essere diventato un cretino specializzato! (Ride ancora, ndr).