In questo numero di TecnoFuturo non sarà presente un’intervista come in quasi tutte le passate edizioni. Si è verificato un evento che non può essere definito il “Cigno Nero” come prospettato ad esempio per la crisi finanziaria del 2008-2009.
L’evento a cui siamo di fronte era prevedibile, erano presenti ormai moltissimi segnali sul rischio che una pandemia potesse colpire l’umanità nel medio periodo. Lo aveva detto Bill Gates nel corso della Conferenza TED del 2015 suscitando qualche preoccupazione tra i grandi del mondo, ma non abbastanza da convincere i decisori a prendere adeguate misure per il futuro.
Molti virologi ed esperti intervistati oggi sui principali canali televisivi e giornali si sono smentiti più volte negli ultimi mesi, sia in merito alle misure di contrasto da prendere, che all’evoluzione dell’epidemia di quel Virus venuto dalla città di Wuhan, nella provincia profonda di quella Cina, attore e vittima della globalizzazione più selvaggia.
Ma qual è il rapporto tra il Virus e la Tecnologia?
Come la Tecnologia può aver favorito la sua diffusione e come sempre la Tecnologia potrebbe sconfiggerlo?
LE ORIGINI
Sono tre le ipotesi principali sul tavolo che cercano di spiegare come possa essersi diffuso il virus. Paradossalmente le tre possibilità hanno a che vedere con la tecnologia in modo inversamente proporzionale.
La prima ipotesi, la più terribile e la più High-Tech, è quella prospettata da alcuni scienziati e politici, ma relegata dalla comunità scientifica al mero complottismo: la creazione in laboratorio del virus attraverso la rielaborazione
genetica, uscito poi accidentalmente da questo. Come detto, la scienza ha già più volte smentito tale possibilità
con prove effettive. L’ipotesi potrebbe tornare ad essere valutata solo nel caso in cui la Cina disponesse di una tecnologia talmente sofisticata tale da “nascondere” anche ai più attenti esami, l’artificialità dell’eventuale rielaborazione genetica. Rimane il fatto che troppi laboratori al mondo stanno compiendo esperimenti simili.
La seconda ipotesi ha ancora molto a che vedere con la tecnologia: sempre nel laboratorio biologico ad alto contenimento di Wuhan, potrebbe essere stato studiato da tempo quel virus presente in natura che poi per un incidente simile a ciò che è avvenuto a Chernobyl nel 1986 o Fukushima nel 2011 per il nucleare, sia fuoriuscito attraverso il fortuito contagio di uno o più addetti per poi diffondersi tra la popolazione.
Questa è la via di indagine che stanno percorrendo da mesi le intelligence del mondo occidentale per scoprire se vi sia stato un “incidente” e trovare un “colpevole” a cui addossare le responsabilità di un disastro globale, prima sanitario e poi economico.
Secondo tale ipotesi il “leak” potrebbe essere avvenuto addirittura nel mese di ottobre e solo dopo alcune mutazioni il virus sarebbe diventato molto più efficiente nel diffondersi tra la popolazione.
La terza ipotesi è la più naturale ed anche la meno tecnologicamente affascinante: il passaggio dall’animale all’uomo di un virus attraverso quei terribili veicoli infettivi che sono i Wet Market, presenti per altro in quasi tutte le realtà di Cina e Sud-Est asiatico.
È la tesi più avvalorata al momento: attraverso gli stessi mercati, nel Guandong, si era sviluppata l’epidemia di SARS nel 2003.
Ma a questo punto entra nuovamente in gioco la tecnologia: nel 2003 la Cina non era così interconnessa al suo interno e con il resto del mondo come oggi. La SARS è stata debellata grazie ad accorgimenti tecnologici, quali i termoscanner
presenti in tutti gli aeroporti cinesi dal 2004 e grazie alla ricerca scientifica, ma anche ad un po’ di fortuna, che non si è avuta invece nel caso attuale. Fino a qualche mese fa il mondo e la Cina viaggiavano a velocità molto più rapida del 2003. Wuhan era collegata a tutto il mondo con decine di voli giornalieri diretti e i treni ad alta velocità collegavano la città in modo molto efficiente con tutte le popolose province costiere della Cina.
LE SIMULAZIONI ASSISTITE DALL’A.I.
Nella seconda metà del mese di gennaio e subito dopo il clamoroso lockdown di una città di 11 milioni di abitanti, gli scienziati di tutto il mondo si erano messi al lavoro per capire cosa stava succedendo in Cina.
Dopo l’epidemia di SARS del 2003-2005 la scienza e l’informatica avevano compiuto passi da gigante nello sviluppo di modelli matematici altamente sofisticati, che grazie alla ponderazione di centinaia di variabili e
con il supporto dell’Intelligenza Artificiale fossero in grado di prevedere la diffusione di nuovi virus tra la popolazione.
Già nel mese di gennaio una ricerca dell’Imperial College di Londra ed uno Studio pubblicato dal New England Medical Journal, avevano sostenuto che i dati di diffusione del virus in Cina fossero incongruenti con qualsiasi modello matematico analizzato.
Sostanzialmente, in base agli studi, i contagiati reali in Cina dovevano essere dalle 10 alle 50 volte superiori a quanto dichiarato. Considerato che tra il 10 ed il 23 gennaio erano usciti da Wuhan e dalla provincia dell’Hubei, in vista del capodanno cinese più di 5 milioni di persone, era altamente probabile che centinaia se non migliaia di persone
infette avessero lasciato l’area prima del lockdown del 23 gennaio.
THE HAMMER AND THE DANCE
In effetti era così, perchè già nei giorni successivi al lockdown, Hong-Kong, Singapore e la Corea del Sud avevano registrato i loro primi casi.
Questi tre luoghi hanno reagito meglio al contagio. Ma mentre Hong-Kong e Singapore essendo di fatto delle città-stato potevano forse essere maggiormente favorite nel controllo dell’epidemia, differente è il caso della Corea del Sud.
Queste realtà hanno in comune una caratteristica: sono tre aree con un livello di ricchezza e di avanzamento tecnologico unico al mondo se escludiamo la Silicon Valley americana e alcune zone dell’Europa.
La Corea, forte dell’esperienza SARS del 2005, ha messo in atto un piano di lotta al virus per identificare e tracciare tutti i
possibili contagiati in modo meticoloso, attraverso l’utilizzo di sofisticati sistemi informatici e l’incrocio di una quantità di dati di “sorveglianza globale” (celle telefoniche, telecamere, bancomat, carte di credito, geolocalizzazione dei cellulari, ecc…), i cosiddetti Big Data, impressionanti.
In Corea, dopo i primi casi va tutto bene, nell’arco dei primi giorni di febbraio vengono identificati 30 casi ed isolate tutte le persone venute in contatto con questi.
Il New York Times e il Reuters in un articolo/studio di inizio marzo raccontano la storia del paziente 31. È una donna appartenente ad una setta religiosa, particolarmente attiva. Il paziente 31 sfugge al controllo delle autorità coreane: sarà responsabile di circa 8000 contagi in un mese. Dopo affannose ricerche dei contatti, la Corea è riuscita a tracciare ed isolare tutti i contagiati fermando di fatto l’infezione.
Tutto questo è fattibile se si conosce bene il proprio nemico e se si è in grado di intervenire rapidamente. Ma proprio in questo caso in Corea si scopre che la maggior parte dei pazienti tracciati erano assolutamente asintomatici, pur essendo in grado di trasmettere l’infezione, elemento che era stato taciuto o non ancora rilevato da parte degli esperti cinesi.
La Corea realizza quindi la prima infrastruttura tecnologica denominata T-T-T di cui andremo a parlare a breve.
Per tutte le altre nazioni, a partire dall’Italia, che vengono colpite nelle settimane successive e dove risulta impossibile riuscire a tracciare ogni singolo caso in quanto la diffusione è ormai fuori controllo (il grande numero di asintomatici scoperti proprio dalla Corea), l’unica strategia applicabile è quella esposta in uno Studio del Ricercatore Tomas Pueyo di Stanford del 10 marzo intitolato “The Hammer and the Dance”, il martello e la danza.
In questo rapporto adottato oggi praticamente in tutto il mondo si ipotizza una “fase 1” in cui effettuare un lockdown più o meno totale (The Hammer) tale da appiattire o ridurre la curva esponenziale di crescita dell’epidemia.
Segue una seconda fase in cui alla riapertura delle attività economiche e sociali dovrebbe contestualmente essere
messa in atto una strategia di Tracciatura modello Corea del Sud.
La “danza” è una crescita-decrescita controllata della diffusione del virus in modo limitato o comunque “sostenibile”.
Tale strategia (che prevede anche il distanziamento e l’uso di dispositivi di protezione personale), dovrebbe rimanere in essere fino alla scoperta di una cura efficace e poi eventualmente di un vaccino.
LE TRE T
Il modello che la Corea ha adottato fin da subito limitando di fatto al minimo il lock-down consiste in tre aspetti dove la tecnologia la fa da padrone.
TRACCIAMENTO, TEST, TRATTAMENTO.
Il primo passo è quello del Tracciamento: in Italia dal mese di aprile si è parlato moltissimo dell’APP per i nostri SmartPhone che grazie alla Tecnologia Bluetooth avrebbe il compito di avvisarci se siamo venuti in contatto nei giorni precedenti con una persona asintomatica, ma infetta. Tale dovrebbe essere, in quanto le persone sintomatiche, per logica, dovrebbero già essere state isolate.
Il problema principale su cui si è discusso è stato quello della privacy che in Europa ha una valenza ben maggiore rispetto ai paesi orientali, Corea del Sud compresa.
Esclusa la geolocalizzazione che invece è ammessa in Cina o Corea, rimane il fatto che i dati sanitari non dovrebbero finire nelle mani di terzi. Rimane poi la vulnerabilità del sistema, come affermato perfino dall’inventore del Bluetooth ad inizio maggio. Un furto di dati da parte di hacker sia a livello capillare che a livello centralizzato potrebbe portare a danni
irreparabili per un’intera nazione.
La Corea del Sud, oltre ad essere efficiente nella prima T è stata molto efficace anche nel Testing: nel caso di identificazione del possibile contagiato, si procede immediatamente al test. In questo caso la tecnologia nei mesi scorsi ci è venuta incontro grazie alla creazione di test virologici in grado di presentare un risultato in pochi minuti.
Ultima componente è quella del Trattamento, la possibilità cioè di isolare, monitorare e curare fin da subito il contagiato senza attendere un peggioramento clinico.
In attesa del vaccino, altre innovazioni tecnologiche potrebbero aiutarci nei prossimi mesi, da nuove cure, ai test ultrarapidi e prodotti in massa, fino ai caschi termoscanner negli aeroporti e stazioni.