Libero, controcorrente, ma con azioni e pensieri da bravo ragazzo. Salmo si racconta spesso senza filtri. Così ha fatto davanti al pubblico di giovanissimi e non solo durante l’ultimo Salone del libro di Torino. Oggi il rapper di Olbia è protagonista delle scene musicali, a partire dal super evento che si è svolto il 6 settembre a Milano presso il Lebonski Park, dove ha presentato dal vivo il suo ultimo disco “Ranch”. In autunno prosegue con concerti nei palazzetti italiani e con il suo primo world tour, a dimostrazione di quanto sia attualmente uno degli artisti più riconoscibili a livello globale. Si parte il 9 ottobre da Padova per andare poi l’11 ottobre a Torino e il 18 a Eboli, il 21 a Roma, il 26 a Firenze e il 28 a Bologna.
Subito dopo suonerà su alcuni dei palchi più infuocati d’Europa e d’America: Barcellona, Madrid, Londra, Parigi, Berlino e Stoccolma a novembre; Los Angeles, Toronto, New York e Miami nel mese di dicembre.
Non sa se “Ranch” sia o meno il suo disco più importante.
Credo sia uno dei più belli, sicuramente è molto personale. A 40 anni devi capire chi sei e dove sei e io l’ho capito: sono una brava persona. Ho passato tutta la vita a cercare di essere un duro, agli occhi degli altri quasi cattivo, ma ora basta.
Spiega anche come è nato “Sottopelle”, il suo libro autobiografico uscito a fine 2024 in cui racconta le esperienze che lo hanno formato.
La chiave che muove noi artisti è il desiderio di esprimersi. Anche se non sono uno scrittore nelle mie canzoni c’è tanto testo, i miei dischi sono un po’ degli audiolibri. Sentivo poi l’esigenza di scrivere la mia storia. Mi sono convinto a farlo quando ho capito che quello che volevo raccontare era interessante. Devo dire che il libro fila via veloce, me lo dicono i ragazzi che lo hanno letto anche in un giorno, alcuni di loro non ne avevano mai letto uno prima. La mia idea di farne un testo abbordabile per tutti sembra riuscita, volevo che il libro fosse come una chiacchierata al bar.
La narrazione è però molto profonda.
È stato molto difficile scrivere la storia della mia famiglia. Mi ha spinto un fatto di cronaca che non era un segreto di famiglia. Quella storia era lì da un sacco di anni, ma non avevo il quadro completo per raccontarla, così ho raccolto tutti i pezzi e ho composto il puzzle. Complicato è parlare degli affari di famiglia: le parole sono come dei coltelli, a volte fanno del bene, altre volte possono ferire. Nel farmi un esame di coscienza, invece di guardare fuori dalla finestra come ho fatto altre volte, ho preferito guardare dentro la finestra di casa mia.
Nessun collegamento tra il libro e il disco, precisa.
Non ci dovevano essere né uno né l’altro, ero in un momento in cui volevo concentrarmi solo sulla serie tv (“Blocco 181”, meglio conosciuta come “Gangs of Milano”, è una storia di emancipazione, criminalità e conflitti generazionali tipici della periferia delle grandi città, ndr). E invece il comune denominatore di tutto è stato l’isolamento: il mio personaggio affronta una serie di guai isolandosi. Così ho fatto io, ma poi la musica è venuta a bussarmi, anche in modo molto seduttivo, e sono riuscito in poco tempo a fare il disco, scrivere il libro e a recitare. Ci sono riuscito solo perché in quel periodo avevo abbandonato i social.
Il suo è un vero e proprio invito ad allontanarsi da quel mondo.
Ai giovani dico che se ne hanno la possibilità è meglio starne fuori. Purtroppo, molti per farsi notare non possono farne a meno, ma i social causano paranoie, nervosismo e anche depressione. Sono un’arma a doppio taglio, meglio andarci molto piano, starci attenti.
Anche il posto dove vive ora lo ha aiutato a trovare il balance della sua vita.
Il posto in cui vivo in Sardegna è splendido, anche se il mio ranch non è come quello dei video. Il mio è meno arido, è fatto in pietra e legno e ha uno stile molto più sardo. Si trova a 800 metri dal mare e a 800 metri sul livello del mare, davanti a me vedo un paradiso. A Milano devo tanto ma io vengo dal mare e ho bisogno di vederlo per stare bene. Ora voglio fare anche l’orto, mi piace vivere con tanti animali ma è difficile: vorrei avere pecore, capre, cavalli ma capisco che è un lavoro. Non so se sto impazzendo, per ora sento forte questo richiamo alla terra.
Eppure, partirà da ottobre per il suo primo tour mondiale.
Il legame che ho con la Sardegna si è rafforzato negli ultimi anni, perché noi sardi siamo isolani nel DNA e siamo abbastanza nomadi. Non pensiamo possa esistere un posto più bello della Sardegna e passiamo la maggior parte della vita a cercarlo senza trovarlo, quindi sono tornato.
Il suo stile diretto lo ritroviamo sia nel libro sia nella musica. Questa autenticità si sente in tutto ciò che scrive.
Non è facile essere autentici e trovare la forza di costruire la propria verità. È una magia che sto riscoprendo: parlare di se stessi invece che degli altri aiuta chi ti ascolta a rivivere momenti e situazioni della propria storia ed è allora che si crea la magia. La musica rap con le sue tante parole aiuta in questo. Anche se oggi il rap sta cambiando: si è persa un po’ la voglia di raccontarsi, di fare storytelling. In “Ranch” io mi racconto in modo molto visivo, come se fossi il regista della mia vita.
A chi riesce a fare fortuna – scrive nel libro – succede a un certo punto di farsi delle domande.
Io mi sono chiesto se la mia strada fosse un’altra e ho iniziato a frequentare posti per ricchi, ma mi sentivo un intruso. Ho capito che quella non era la mia vita.

Nel libro racconta anche di aver rinunciato ad un milione di euro rifiutando X Factor.
Qualcuno potrebbe dire che sono un bel deficiente però io preferisco fare delle scelte giuste per me. In quel momento volevo fare una serie tv. Poi i talent sono programmi per i giudici e non per i talenti. Mi capita spesso di mettermi a disposizione di giovani artisti senza essere davanti alle telecamere. Ho aiutato giganti come Blanco e Lasca, quindi funziono come coach ma il mio è più uno street factor!
Sua fonte di ispirazione sono stati vari artisti.
Seguivo molti rapper americani e italiani come Neffa, Kaos. Tutti iniziavano dall’inglese, solo Timo è stato il primo a iniziare dall’italiano. Da ragazzino invece sono state le poesie che mi hanno introdotto al mio stile baudelairiano, versi come ‘la bellezza delle cose orribili’ mi colpirono e da lì iniziai a scrivere piccoli capitoli, tutti con una morale finale, così come ho fatto nel mio libro.
L’unico featuring in “Ranch” è con Kaos.
Kaos fa parte di quella generazione di rapper che comunicano. In un suo pezzo enfatizza la storia di un poliziotto e ne prende quasi le difese, quel modo lì di scrivere mi ha dato l’input, ho visto i suoi live e mi hanno fatto uscire dal guscio.
E i suoi tanti fan ringraziano.

Credit photo copertina Chilldays


















