I Perturbazione: una lunga Storia fatta di Musica e Parole


Una Band musicale che si è saputa distinguere: sono I Perturbazione, lontani da qualunque forma di conformismo ed originali in tutto quello che fanno e soprattutto capaci di offrire alla musica la possibilità di raccontare mille storie, diverse e simili a quelle che sono, in molti casi, le storie di ciascuno di noi. Pubblicati da etichette molto famose come la EMI e la Sony Music, nel 2012 ricevono un premio dalla prestigiosa rivista “Rolling Stones” per il disco “In Circolo”, da cui sono stati estratti i singoli “Il senso della vite” e “Agosto”, che la rivista inserisce nella lista dei 100 dischi italiani più belli. Due anni dopo sono sul placo del Festival di Sanremo, vincendo il premio della Stampa per la canzone “Unica”. Tuttavia, oltre ad un percorso musicale più tradizionale, il viaggio di questa straordinaria band passa anche attraverso altro: dalla sonorizzazione di celebri film muti alla scrittura di una Storia a fumetti.

Questo 2021 è l’anno di un progetto editoriale: “Chi conosci davvero”, una vostra canzone che ha dato anche il titolo alla vostra prima graphic novel, e cioè un romanzo a fumetti che racconta la storia di un gruppo di studenti che si ritrovano a fare musica in un legame fatto di amicizia e sogni, ma che si scontra e si spezza contro una realtà diversa. Perché avete sentito il bisogno di scrivere?

Il pretesto è stata una cena di classe di qualche anno fa. È stato strano, ma anche interessante incontrare i vecchi compagni del liceo e ritrovarsi diversi, ovviamente, e in alcuni casi di fronte a persone che avevano fatto percorsi molto particolari rispetto a quanto mi aspettassi dai ricordi che avevo da ragazzo, che sono evidentemente influenzati dalle immagini che hai da adolescente di una persona. L’idea è nata così. Sicuramente ci ha aiutati il fatto che io mi sono sempre occupato di grafica ed animazione e Rossano di scrittura e giornalismo. Ma il momento fondamentale è stato l’incontro con BAO Publishing che ha creduto fortemente in questo progetto: Caterina e Michele che hanno fondato la casa editrice, ci stavano dietro già da un po’ con l’idea di sviluppare una graphic novel basata sui nostri testi. Poi ci siamo visti alla Bao con Davide Aurilia, di cui fra l’altro conoscevamo i lavori, e quando lui si è reso disponibile ad illustrare il nostro racconto, abbiamo deciso ed iniziato a scrivere. Il lavoro è durato circa quattro anni. Le prime bozze le abbiamo messe giù nel 2017, Davide ha cominciato lo storyboard e ha iniziato a disegnare le tavole e poi, tra la musica e i concerti, siamo riusciti a finire il nostro racconto; un fumetto basato su un gruppo di amici che non fossero però esattamente come noi e nemmeno come i nostri compagni di liceo, ma piuttosto che fosse in grado di raccogliere una collettività di storie di ragazzi che si scontrano con le paure e le ossessioni di tutti i giorni, con il dolore della perdita di un genitore, con il legame e la complicità dell’amicizia e che soprattutto sognano di tracciare la propria vita attraverso quei sogni.

 Nel romanzo Luca, il protagonista, sceglie una strada diversa. Va via dalla provincia, abbandona questo legame così stretto e si libera in un certo qual modo, dei segni di quella storia fatta di musica e sogni. Chi è Luca?

Luca è uno che ha deciso di scappare. Non perché sceglie una vita fuori dalla sua città, ma perché sceglie di andarsene senza fare il punto. In qualche modo cerca di strappare quello che ha dentro senza farci i conti. Luca non rappresenta il “giudizio”. Abbiamo solo cercato di raccontare la scelta di un ragazzo che tenta la sua strada in una grande metropoli, cercando una scappatoia facile ma che invece si ritrova solo, in una routine leggera e comoda come un paio di vecchie scarpe. È un romanzo a fumetti e quindi deve essere raccontato con semplicità, anche nell’intenzione di rappresentare le insicurezze di ognuno e anche quando vogliamo un po’ smascherare quell’abitudine, direi universalmente condivisa, del nascondersi dagli altri.

Il 29 maggio del 2020 è uscito il vostro ultimo album “(Dis)amore”: una sorta di pamphlet sull’amore, con il nuovo singolo “Io mi domando se eravamo noi”. I protagonisti si amano e poi si perdono, ma senza che la canzone abbia, a mio parere, delle connotazioni drammatiche. Un po’ come il vostro romanzo, siete “dentro” alla vita che scorre, “prestando” l’album anche al Teatro. È così?

L’album sarebbe dovuto uscire a marzo, poi a causa di ciò che è successo, è slittato a maggio. Abbiamo scelto di distribuire nonostante tutto. Restare imbottigliati non serve. Eravamo consapevoli che fosse un po’ come svuotare il mare con un cucchiaio ma è anche vero che noi cinquantenni abbiamo anche il senso della crisi, forse non come i nostri genitori e chi ha fatto la guerra, ma abbiamo la coscienza del sacrificio. Credo anche che restare sospesi sia assolutamente dannoso per un artista e il virus avrebbe rappresentato in qualche modo un alibi per rimanere distanti. Siamo usciti e siamo contenti per quello che poi è accaduto con questo album. “(Dis)amore” è la storia di un sentimento che cresce e finisce, come tanti. Ma è anche qualcos’altro: l’album nasce, in parte, da una trilogia di Natalie Ginzburg, di cui, nel 2016 e successivamente nell’estate del 2020, è andata in scena al Teatro Stabile di Torino, “La Segretaria”, con le musiche eseguite dal vivo dal nostro gruppo. Ho letto tutti i suoi romanzi perché nella scrittura di questa donna straordinaria, le parole sono incisive, il lessico è essenziale e mai didascalico e come in “(Dis)amore”, il protagonista non è mai presente. I primi brani dei 23 inseriti dell’album sono profondamente legati a questa meravigliosa e tenace scrittrice, e anche quando racconta del suo secondo marito (ispirazione per il nostro singolo “Io mi domando se eravamo noi”) centrale è il tema dell’assenza, del non riuscire a ritrovare quelle due persone che si sono incontrate ed amate. Gli altri brani percorrono invece una strada più personale, nel tentativo, che si dimostra impossibile, di definire un sentimento come l’amore.

Musica, teatro, ma anche cinema. Mi ha molto incuriosito scoprire che fra gli oltre 800 concerti in Italia ed in Europa, abbiate anche consegnato la vostra musica alla sonorizzazione di famosi film muti: “Maciste”, del 1915 e “The General”, del geniale Buster Keaton, nel 1926. Come siete arrivati a questo?

La musica è legata a tutto. In qualunque forma di comunicazione la musica esiste. Soprattutto oggi, che si parla tanto di comunicazione liquida, la musica non può non farne parte. E poi anche noi musicisti siamo così: Rossano scrive, io mi occupo di animazione e grafica, Cristiano ha uno studio di produzione. Non esiste un percorso rigido e precostituito. Sicuramente siamo principalmente musicisti, però è anche vero che oggi siamo diversi dagli anni Ottanta o Novanta. Il mondo della cultura è più elastico, essere eclettici è diventato normale. È impegnativo? Sicuramente. Ma è anche molto stimolante e ti dà l’opportunità di approfondire ed imparare di continuo. L’occasione di fare musica per il film “Maciste” è nata durante un viaggio in treno. Con la Cineteca di Bologna, che aveva restaurato il film, abbiamo provato questo piccolo miracolo. Ho imparato che rendere sonoro un film muto è un lavoro molto delicato. Non devi soverchiare il film con il suono, non devi anticiparlo. Devi esserci, dandogli tutto il suo spazio. È stato fatto un bel lavoro e quando poi si è presentata l’occasione di farne un secondo, abbiamo scelto “Il Generale”, di Buster Keaton.

Prossimi progetti?

Abbiamo in piedi un progetto con Davide Aurilia che spero porteremo presto sul palcoscenico. Vorremmo proporre uno spettacolo sulla scia di quanto abbiamo anche fatto recentemente con il Circolo dei lettori di Torino. Una rappresentazione musicale con i disegni live di Davide, che diversamente dall’evento trasmesso dal Circolo, dove noi eravamo sul palco e lui a Monza, nel suo studio, saremmo tutti insieme, in un’unica esibizione fatta di musica e disegni. È qualcosa di molto emozionante per me, perché vedere rappresentata la propria musica attraverso una sceneggiatura semplice ma incisiva come sono i tratti di Aurilia è davvero potente e in qualche modo rende quasi palpabile le note, una canzone.

Grazie.


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