Parlare in pubblico: capacità innata o acquisita?


Sono tante le persone che, per ruoli e impegni professionali, si trovano ad affrontare piccole o grandi platee e la “paura” di non essere ascoltati o di essere giudicati severamente nella propria performance, le attanaglia.
Non stupisce quindi la variegata proposta formativa dedicata al Public Speaking.
Naturalmente ci sono persone che non vedono l’ora di poter salire sul palco e parlano fluidamente. Rappresentano, in verità, la minoranza e comunque l’ansia da prestazione, prima di iniziare, può esserci, soprattutto tenendo in considerazione a chi sia indirizzato l’intervento e il contenuto della comunicazione.
Bisogna gestire questa lieve ansia o trasformarla in adrenalina.
Negli ultimi 20 anni sono stata coinvolta frequentemente, in qualità di docente, nei corsi di Public Speaking e ho sempre incluso la parte emozionale per far comprendere ai partecipanti quanto questa possa influenzare il successo di un loro intervento.
Il timore che imperversa in certe situazioni si supera grazie alla preparazione, allo studio e con tanto, tanto esercizio. La ripetizione non è tautologica ma rafforzativa nel suo reale significato: i corsi di Public Speaking favoriscono l’acquisizione di tecniche specifiche ma solo l’esercizio costante, unito al controllo delle proprie emozioni e alla consapevolezza del ruolo, determina la conquista del parlare con fascino e autorevolezza in pubblico.

Si parte dal respiro che comunica il nostro stato d’animo, allenandoci a usare il diaframma, e si lavora sull’articolazione corretta delle parole con particolari tecniche ed esercizi anche divertenti. Ci concentriamo sul ritmo prosodico affinché segua l’eloquio che sia non troppo veloce e non troppo lento. Chi ha reminiscenze di studi musicali è facilitato ricordando il ritmo del solfeggio, per gli altri l’esercizio è sempre premiante. Il linguaggio paraverbale comprende l’analisi del tono, del volume, del ritmo e delle pause.
Le pause sono usate magistralmente dai grandi oratori e servirsene in modo appropriato durante un discorso, potenzia il valore legato al significato di ciò che desideriamo trasmettere alla platea.
Il tono è principalmente un indicatore del senso che si dà alla comunicazione. Può esprimere interesse, disappunto, entusiasmo. Il volume riguarda l’intensità sonora, il modo di calibrare la voce rispetto all’importanza dell’argomento trattato. Il volume spesso determina lo stato emotivo, infatti molti iniziano quasi sottovoce per poi aumentare una volta presa confidenza con il parterre, oppure alzano troppo il volume della voce dimenticando di avere già il microfono. Un buon respiro diaframmatico e un bel sorriso sono l’approccio migliore nell’entrare in scena.

Per coinvolgere il nostro pubblico è rilevante il linguaggio del corpo, la funzione del gesto rispetto alla parola. Ci sono i gesti deittici, simbolici, spaziografici, batonici, illustratori, pantomimici… Rappresentando il contesto, accompagneremo le parole con gesti pertinenti.

Prendere consapevolezza della complessità e della varietà di codici coinvolti nella comunicazione umana è di per sé un processo particolarmente importante che rientra fra le mete dell’educazione linguistica. La riflessione sulla comunicazione non verbale e l’analisi del significato dei gesti serve ad avvalorare il senso delle parole utilizzate. Essere in antitesi con il LNV (linguaggio non verbale), causa un effetto deterrente nel pubblico, come perdita di fiducia o di interesse per ciò che si sta ascoltando.
Parlare in pubblico coinvolge tutta la nostra fisicità e, preparandoci adeguatamente, dimostriamo rispetto nei confronti degli uditori.
E le parole, e il contenuto? È importante che siano sempre adeguati al nostro pubblico.