Secondo il Rapporto FAO 2020, cioè la più grande valutazione sul patrimonio boschivo fatta fino ad ora, la Terra ospita attualmente più di 4 miliardi di ettari di foreste (0,52 ettari per ogni abitante, 32% della superficie totale). Una realtà importante, che viene però costantemente minacciata.
Nel corso degli ultimi anni la deforestazione è infatti proseguita senza sosta, basti pensare che tra il 2010 e il 2020 ogni anno abbiamo perso – a livello mondiale – 4,7 milioni di ettari forestali.
Peggio si è fatto nel decennio precedente quando tra il 2000 e il 2010 perdevamo ogni anno 7,8 milioni di ettari di foresta.
Per fare un paragone, dal 1990 a oggi è come se avessimo mandato in fumo un’area pari a quella della Libia.
Ma la deforestazione non avanza allo stesso modo e ci sono Paesi che risultano più colpiti di altri.
Se per esempio negli ultimi dieci anni in Asia ed Europa è aumentata la copertura forestale, questa si è invece ridotta di parecchio in Africa (3,9 milioni di ettari persi) e nel Sud America (2,6 milioni di ettari persi).
A destare preoccupazione c’è poi anche il fatto che la deforestazione sta crescendo proprio nelle aree del pianeta che posseggono un alto tasso di biodiversità e che ospitano alcune tra le comunità umane più vulnerabili al mondo.
Se, in generale, tutti siamo al corrente del problema, pochi sanno che è l’agricoltura la prima causa di deforestazione, un’attività che impatta ancora di più se consideriamo che oltre alla perdita dei terreni forestali troviamo altre pratiche nocive per l’ambiente, come la costruzione delle reti stradali necessarie al trasporto dei prodotti agricoli.
Un grande impatto producono ovviamente anche le attività minerarie, seguite dall’aumento degli insediamenti urbani e dal fenomeno di accaparramento dei terreni di proprietà pubblica, soprattutto nei paesi più esposti alla corruzione e con scarsa capacità di controllo da parte delle autorità pubbliche nazionali.
Ma per comprendere lo stato di salute delle nostre foreste occorre affrontare l’argomento non solo in termini quantitativi, ma anche qualitativi. Ed è proprio su quest’ultimo punto che i problemi risultano essere ancor maggiori.
Le foreste, non va dimenticato, sono dei veri e propri serbatoi di carbonio minacciati da una serie di fattori riconducibili all’attività umana. A causa dell’aumento delle temperature, per esempio, aumentano di intensità fenomeni estremi come le ondate di calore.
Inoltre, con un clima più caldo, è sempre più difficile spegnere gli incendi che generano grossi danni al patrimonio forestale, basti pensare che il cambiamento climatico ha raddoppiato l’area bruciata negli Stati Uniti occidentali dagli anni ‘80.
Sempre a causa della crisi climatica, sono poi in aumento i fenomeni di siccità e di nuove epidemie che possono causare la mortalità degli alberi: eventualità da contrastare con tutti i mezzi possibili dato che la morte di un albero significa reinserire in atmosfera il carbonio che durante la vita aveva immagazzinato.
Ogni ecosistema ha poi determinate caratteristiche e alcuni, se parliamo di stoccaggio della CO², sono più efficienti di altri. È il caso delle foreste di mangrovie che però si sono ridotte di oltre il 35% negli ultimi decenni. La stima è al 2005 e tutto fa pensare che la situazione sia ulteriormente peggiorata. Stesso discorso per le foreste di torbiere, ecosistemi ad alto contenuto di carbonio che si sono costruiti nel corso di millenni, che se distrutte portano al rilascio di elevate quantità di gas serra.
In WWF sostiene che circa il 45% delle foreste esistenti è costantemente messo sotto pressione da un’attività antropica lontana da qualsiasi pratica di sostenibilità. Il grosso rischio che stiamo correndo è quello di trasformare ecosistemi che fino ad ora sono stati necessari al benessere umano in una potenziale minaccia per la vita sul Pianeta e per la lotta al cambiamento climatico.
E su questo, l’allarme lanciato dagli scienziati sull’Amazzonia è emblematico.
“Negli ultimi 10 anni, sono stati persi circa 300 mila chilometri quadrati di Foresta Amazzonica, pari all’intera superficie dell’Italia”, evidenzia il WWF, “Deforestazione e cambiamento climatico stanno spingendo l’Amazzonia verso l’estinzione. La foresta ridotta e degradata è più soggetta ad incendi, alla perdita di biodiversità e perde la capacità di fornirci quei servizi irrinunciabili che ci fornisce. La Foresta Amazzonica genera infatti piogge, raffredda la Terra, assorbe gas serra, immagazzina carbonio, custodisce il 10% della biodiversità mondiale, contrasta la desertificazione, produce acqua, cibo e medicine; oltre a custodire ancora comunità indigene senza le quali, spesso, molte aree della Foresta Amazzonica non sarebbero protette e custodite. Ad oggi la Foresta Amazzonica brasiliana ha perso il 19% della superficie di alberi presente nel 1970. Continuando con l’attuale trend di deforestazione secondo gli scienziati più accreditati il punto di non ritorno sarà raggiunto in soli 10-15 anni”.
Le foreste ci proteggono da calamità naturali, fungono da scudo contro il cambiamento climatico, salvaguardano la biodiversità, svolgono funzioni importanti come lo stoccaggio di carbonio, producono ossigeno e sono protagoniste di diverse attività a scopo economico e ricreativo.
Non abbiamo scelta, le foreste vanno gestite in maniera sostenibile.