Stilista di successo, ma non solo, Chiara Boni si racconta in un libro che ci riporta a quell’Italia degli anni ‘80 e ‘90. Un testo da leggere tutto d’un fiato per farsi attrarre dall’universo creativo e immaginifico di una donna vera. La sua vita potrebbe essere un film avventuroso perché dalle sfide agli amori, passando per l’arte e per la moda, Chiara Boni ha vissuto nel vero senso della parola. Oltre che stilista, infatti, ha lavorato in televisione come costumista, come conduttrice, come ospite ed ha partecipato a programmi TV che hanno fatto la storia: da “Domenica In” a “Ballando con le stelle” per citarne alcuni. La sua creatività inesauribile e mai uguale a se stessa l’ha portata a disegnare i costumi per importanti produzioni teatrali e per la danza. Poliedrica e amante delle sfide, dal 2000 al 2005 è stata anche Assessore alla comunicazione della Regione Toscana. Nell’editoria ha infine scritto “Vestiti usciamo” a quattro mani con Luigi Settembrini mentre l’ultima sua fatica letteraria è l’autobiografia “Io che nasco immaginaria” a cura di Daniela Fedi, edita da Baldini Castoldi.
Partiamo dal titolo del libro: “Io che nasco immaginaria”. A cosa si riferisce?
Nasce da un progetto realizzato nei primi anni 2000 composto da immagini aeree nelle quali i ballerini danzavano leggiadri in aria con i miei vestiti. Ho chiesto ad un’amica di scrivere un testo sull’argomento e lei lo ha intitolato “Io che sono immaginaria” rifacendosi ad una poesia dell’autrice polacca Wislawa Szymborska e da lì è nato il titolo “Io che nasco immaginaria”.
In quarta di copertina si legge: “Io avevo in mente cosa avrei voluto fare: il vestito perfetto per il terzo millennio”. Com’è questo vestito perfetto e, soprattutto, lo hai realizzato?
A inizio 2000, quando riesco a riacquisire il mio marchio dopo il fallimento del Gruppo Finanziario Tessile, mi dedico alla ricerca del tessuto ideale: quello che non si stropiccia, che permette all’abito di essere piegato e portato in valigia senza problemi, che fa sentire una donna in ordine dal mattino alla sera, semplicemente cambiando gli accessori. Facendo numerose ricerche capisco che la lycra risponde alle mie esigenze perché è a taglio vivo per cui non ha bisogno di orlo. Per me è un plus perché è davvero molto difficile trovare un orlo o un giro manica fatti bene. Io invece ho sempre voluto realizzare un abito ben finito e ad un costo accessibile.
Il libro è dedicato alle donne che sanno fare squadra. Cosa significa per te essere donna?
Secondo me le donne sono più multitasking, più forti, più profonde in senso generale. Gli uomini sono attenti e vanno a fondo sugli argomenti di loro interesse, come ad esempio il lavoro, ma noi siamo più appassionate di tante cose che poi si collegano insieme.
Quando ti sei avvicinata alla moda e grazie a chi?
Grazie a mia mamma, una donna molto bella ed elegante che mi portava con sé in sartoria. Io ero una bimba e vedere i saloni dorati dove le mannequin sfilavano con gli abiti appositamente selezionati per loro mi sembrava un mondo fiabesco. Già allora mi affascinava il lavoro di chi riusciva a costruire sulla persona un vestito dalla perfezione totale. Ho cominciato da lì, ma durante il mio soggiorno a Londra – erano gli anni ’70 – ho vissuto un periodo di grande fermento nel mondo della moda dove c’era entusiasmo e dove gli schemi tradizionali venivano rotti da capi come i jeans e la minigonna.
Nel 1984 sei entrata a far parte del gruppo GFT ed è nato così il brand Chiara Boni. Ci racconti quel periodo professionale?
Il mio primo marchio si chiamava You Tarzan me Jane ed era nato dalla collaborazione con altre donne. Entrando nel Gruppo Finanziario Tessile ho invece fondato Chiara Boni. Il mio obiettivo era avere un approccio da artigiana: mi interessava scegliere i tessuti e realizzare i modelli. Al GFT ho trovato una professionalità molto avanzata, una realtà importante che si era diffusa in tutto il mondo grazie al prêt-àporter. Ricordo che il primo giorno ho visto il manichino di Ungaro, quello di Armani e di Valentino, che avevano misure diverse perché ognuno aveva la sua visione della donna, e ho capito la portata di questa nuova fase della mia vita da stilista.
I tuoi famosi vestiti in bustina e il marchio Petite Robe hanno conquistato le donne del pianeta: da Melania Trump ad Oprah Winfrey. Qual è il segreto di questo successo?
Sicuramente la lycra, tessuto che ho subito amato perché occupa poco spazio. In quel periodo leggevo di case giapponesi
di dimensioni ridotte dove riporre abiti e oggetti, non era affatto banale. Mi sono lasciata ispirare e ho deciso di creare un vestito adatto ai piccoli guardaroba, ma ho anche pensato di venderlo in una bustina in modo che occupasse poco spazio e rendesse facile e innovativa la spedizione. L’ho chiamato Petite Robe proprio perché diventava un piccolo vestito in bustina. Mi sono rifatta però anche a Chanel e alla sua petite robe noir, un abito capace di adattarsi al fisico di ogni donna, a prescindere dal gusto e dallo stile personale.
Ci sono dei colori must che hanno sempre caratterizzato il tuo brand?
All’inizio utilizzavo solo il nero poi nel tempo ho perfezionato il tessuto, l’ho doppiato, ho fatto il rovescio della stampa e ho ampliato la gamma di colori. Ogni due stagioni realizzavo una cartella colori nuova dove però il bianco, il black e il blu erano continuativi.
Tu già nel 1992 portavi in passerella le modelle plus size e da sempre tratti temi come l’ecosostenibilità e l’inclusione. Secondo te, oggi, a che punto è la moda su questi argomenti? È retorica o agisce davvero?
Fino a qualche anno fa c’è stata tanta retorica perché i temi erano nuovi e non si era veramente preparati, ma ho la sensazione che si stiano aprendo nuovi tavoli e spero che questo trend vada avanti per il benessere dell’uomo a tutti i livelli.
Cosa significano moda e lusso per Chiara Boni?
Il lusso vero è non ostentare, ma avere capi belli, unici e di qualità. La massificazione, secondo me, nasce dal bisogno di stabilire uno status. Oggi vedo la moda in difficoltà, mi sembra che sia in un momento di passaggio, ma d’altronde è lo specchio dei tempi odierni. Il fashion è il riflesso di questa società confusa dove purtroppo regna l’odio a tutti i livelli.
Le persone sono arrabbiate, forse giustamente, ma mancano i valori.
Quale consiglio daresti alla giovane Chiara che vuole diventare stilista?
Le consiglierei di impegnarsi sempre e di non tirarsi indietro davanti ai lavori faticosi. Ai miei tempi non c’erano le scuole di moda per cui chi ha fatto questo mestiere si è attivato su tutti i fronti. Oggi le scuole ci sono e sono appannaggio di poche persone facoltose che, quando escono da lì, pensano di essere arrivate, mentre è da lì che si comincia. La gavetta è fondamentale per imparare. Credo comunque che il talento possa emergere anche senza gli istituti titolati.



















