Alla ricerca del bello perduto


Scegliete un’opera d’arte: pittura, scultura, letteratura o musica. Solo pochi di voi avranno pensato a un’opera recente, e ancor meno saranno quelli che hanno immaginato un’opera contemporanea. Ci si trova “costretti” nel constatare che l’arte, anche se nasce dalla contemporaneità e ha bisogno di essa per nutrirsi, viene riconosciuta come tale solo con il passare degli anni. Certamente il trascorrere del tempo evita che il nostro giudizio sia influenzato e offuscato da mode temporanee o da altre caratteristiche che limitano o escludono quegli elementi di universalità e di grandezza che distinguono un capolavoro, ma non esiste quindi arte nel presente? Non ci sono autori degni di essere letti? Quadri che ci commuovano? Rappresentazioni teatrali che ci coinvolgano? Per quanto il codice espressivo dell’arte muti continuamente formando nuove regole e nuove eccezioni, un capolavoro è sempre riconducibile a uno schema che il nostro cervello percepisce e quindi traduce in emozioni. Questo processo naturale può però venire bloccato dalla nostra diffidenza verso ciò che è nuovo e che si può esprimere attraverso un canale diverso da quello a cui siamo avvezzi. Siccome è assurdo chiedere a un artista di esprimersi dipingendo come Raffaello o a uno scrittore di adoperare lo stile dei romanzieri dell’Ottocento francese, a cambiare deve essere la nostra concezione di ciò che riconosciamo come arte. La realtà è cambiata ed è cambiato il modo di esprimerla. Cercare di esercitare il proprio sguardo a essere libero da pregiudizi e preconcetti artistici è essenziale per creare un ambiente culturale più vivo e dinamico, capace di rendere la comunicazione tra artista e spettatore più reattiva e a plasmare un mercato più eterogeneo e più ispirato. Ritenendo che sia giusto formare le menti dei giovani assegnando solamente letture tra i “classici” e portando gli studenti nei musei si rischia di costringere il loro senso estetico e di continuare ad allontanare il gusto comune dai mezzi di espressione dell’arte contemporanea. Perché far sempre comprendere il nuovo attraverso il vecchio e mai viceversa? L’analisi di espressioni artistiche più vicine agevolerebbe il coinvolgimento e la spiegazione di produzioni culturali meno recenti facendone emergere genuinamente il fascino e la grandezza. Una soluzione, per quando apparentemente paradossale, sarebbe quella di ritornare a una nozione più arcaica del bello; la bellezza come indefinibilità, potenza del sentire, percezione intima o addirittura sopraffazione, onnipresente e spesso onnicomprensiva ma mai facilmente descrivibile o catalogabile. Disimparare i nomi, le nozioni, le correnti, gli stili, e ri-educarsi alla bellezza in sé, con un’adesione primitiva e priva di sovrastrutture imposte o diligentemente apprese. Così da ritrovare, in essa, ogni possibilità di bello, al di là delle stesse, tanto dibattute, nozioni di vecchio e nuovo. Bisogna lasciare alla bellezza la possibilità di situarsi al di fuori del tempo, consapevoli, secondo le parole dell’“Idiota” di Dostoevskij che “la bellezza salverà il mondo”.