Ho incontrato il Prof. Hafez Haidar nella biblioteca di un vecchio palazzo romano, già sede vescovile, dove aveva partecipato alla presentazione di un libro di poesie. Haidar è un uomo che esprime nel portamento e nella parola la profonda dignità di chi ha visto e conosciuto il bene ed il male del mondo e che, grazie alla sua capacità di giudizio, ha saputo far dialogare la civiltà araba con quella dell’Occidente. Ci sediamo su due poltrone, un po’ lontani dai presenti, vicino ad un tavolino d’epoca, tra libri antichi e quadri che raffigurano vescovi e prelati.
So che lei è uno studioso riconosciuto in campo internazionale, accademico emerito, Cavaliere della Repubblica Italiana, direttore internazionale della Camerata dei Poeti di Firenze, Ambasciatore di Gariwo per i diritti umani e candidato al premio Nobel per la Pace nel 2017 e per la Letteratura nel 2018. Mi ferma con un cenno della mano e dice.
Sì, è tutto vero, ma io sono soprattutto un testimone della cultura della vita e della pace, ed ho votato me stesso alla verità e alla cultura. La cultura e la conoscenza sono armi che consentono di infrangere le barriere create dagli uomini.
E poi, dopo aver dato uno sguardo all’ampia finestra della sala che si affaccia su Santa Maria Maggiore, continua.
Sono nato in una terra magnifica e tormentata, a Baalbeck, in Libano, e fin da ragazzo ho imparato a lavorare su me stesso puntando alla conoscenza. Credo che ogni lavoro che si compie, sia esso una traduzione o un romanzo, o una poesia, debbano essere realizzati puntando all’eccellenza, all’opera d’arte. Ho tradotto opere che hanno un valore che supera
l’aspetto letterario, come le opere di Khalil Gibran o “Le mille e una notte”, che sono capaci di parlare non solo alla mente ma soprattutto al cuore delle persone.
La sua vita è quasi un romanzo. So che ha fatto molte scelte difficili.
Sì, e anche coraggiose, come quando nel 1998 ho scelto di abbandonare la carriera diplomatica per dedicarmi all’insegnamento e alla scrittura, con la volontà di costruire un ponte di dialogo tra l’Italia e il Medio Oriente. Tenga conto che il mio nome è inserito nel dizionario comparato delle religioni monoteistiche come uno dei maggiori studiosi delle religioni del Libro a livello mondiale. Sono cose che insegno ai miei studenti di letteratura araba, oggetto della mia cattedra all’Università di Pavia.
Come vede la crisi che ha colpito la Palestina?
È una guerra che mi riempie di tristezza, anche perché è una guerra fratricida. Pensi che questi due popoli, coinvolti nella guerra, discendono dallo stesso padre Abramo, il patriarca che ebbe due figli, Ismaele, antenato del popolo arabo e da cui è disceso Maometto, ed Isacco, padre di Giacobbe, capostipite degli Ebrei. Ed è questa la verità storica e religiosa, travisata poi nel corso dei secoli da interessi diversi. Spero che l’ONU intervenga massicciamente insieme alla Lega del mondo arabo e all’Europa per fermare questa strage.
Quale via, a suo avviso, è da cercare?
Vedo una sola soluzione, anche se è difficile: quella di percorrere la via della pace e della conciliazione. E le posso dire che sono davvero rattristato per questo stato di cose. È necessario il dialogo senza prevenzioni e senza ipocrisie. Sono anni che invito alla pace e alla fratellanza e dico che dobbiamo abbracciare libri e matite al posto delle armi, ed avere il coraggio di dissolvere pregiudizi, armi, paure, violenza, odio ed indifferenza.
Quanto ha pubblicato?
Molto, e sempre con attenzione all’intercultura ed al dialogo interreligioso. Ho realizzato 132 pubblicazioni e 12 romanzi, e conto di scrivere ancora per molto tempo.
E a proposito del Libano, la sua terra natale?
È per me un grande dolore vedere quello che sta accadendo. La mia terra di nascita è sempre stata un luogo di incontro di civiltà, fin dall’inizio della sua storia, e quindi un ponte di cultura tra Oriente e Occidente. Deve essere preservato e conservato.
Ed oggi?
Il Libano è un Paese che soffre, ed il dolore si è ampliato dopo la guerra civile fratricida tra i libanesi, che ha anche come causa il continuo conflitto arabo-israeliano e, soprattutto, palestinese-israeliano. La guerra è sempre stata una fonte di guadagno per ignobili profittatori. Le ricordo che il prezzo di sangue per la mia gente è stato molto alto. La guerra civile, scoppiata nel 1975 e terminata nel 1990, ha generato 120.000 morti, 200.000 feriti e quasi un milione di profughi.
Professor Haidar, so che lei è anche un poeta, e forse questo l’ha aiutata a compiere nel modo migliore scelte difficili. Cos’è la poesia?
La poesia è un modo per sentire la realtà oltre la ragione, è la capacità di vedere i sentimenti al di là delle forme e di esprimere valori universali che vanno al di là delle parole.
Quindi un poeta è più consapevole della realtà?
Certamente. Chi compone versi possiede la sensibilità per comprendere il dolore e la gioia, che non possono esprimersi solo con la ragione. Sa vivere nel presente senza dimenticare il passato, anzi, è proprio dalle esperienze passate che trae la forza per vivere appieno il presente.
Si guarda intorno, fa un cenno alla moglie Rosella che lo ha accompagnato e gli fa segno che devono andare, e poi mi dice.
Vede, Jalal ad-din Rumi, il grande poeta Sufi persiano, scrisse: “solo dal cuore puoi toccare il cielo” e Khalil Gibran, poeta e mistico, che ho studiato e tradotto con profondità, ci ricorda che “nulla impedirà al sole di sorgere ancora, nemmeno la notte più buia perché oltre la nera cortina della notte c’è un’alba che ci aspetta”.
Quindi un cammino di speranza?
No. Di certezza, perché l’uomo crede soltanto di poter dirigere la natura o travolgere la volontà di Dio, ma non può nulla. Vede l’impotenza di fronte ai terremoti, alle catastrofi naturali. Invece l’uomo può fare molto per evitare guerre e devastazioni. È necessario superare l’indifferenza e l’egoismo e lavorare per creare una mentalità di pace, insegnando
questi principi fin dalle scuole elementari.
È molto difficile affrontare la vita dimenticando paure e pregiudizi.
Dipende da noi. Sempre Rumi scrisse: “Nel momento in cui accettiamo i problemi che ci sono stati assegnati, le porte si aprono”, e questo vuol dire che dobbiamo fare la nostra parte per promuovere una cultura dove la vita umana sia considerata come un bene prezioso e la violenza sia condannata perché inutile e dannosa. Ho impostato buona parte della mia vita nel combatterla con le armi che ho: l’arte, la poesia, la letteratura e, mi permetta di dirlo, le buone traduzioni.
La sua è una testimonianza preziosa. Le chiedo ancora un’ultima frase per i nostri lettori.
Certo.
E mi guarda con quella serena serietà di chi è nel mondo ma percepisce realtà che non sono solo del mondo. Sorride ed aggiunge.
Il mistero della vita e della morte può essere percepito attraverso l’arte e la poesia, ma non compreso solo con la ragione. Dio ha i suoi misteri e parla alle sue creature in modo misterioso attraverso i sentimenti e le emozioni dell’arte. Noi possiamo soltanto essere i suoi strumenti in questo mondo, usando al meglio i doni che ci sono stati dati.