Sono 9.000 nel mondo, destinati ad aumentare e a consumare sempre più acqua ed energia
Al cuore della competizione globale tra Stati Uniti e Cina (e non solo) sta emergendo un nuovo terreno di scontro: i data center.
Da infrastrutture tecniche e poco visibili, sono diventati asset strategici fondamentali per il controllo dei dati, lo sviluppo dell’Intelligenza Artificiale e la sovranità tecnologica.
Oggi se ne stimano oltre 9.000 nel mondo, con investimenti destinati a raddoppiare nei prossimi dieci anni.
Gli Stati Uniti dominano la scena, con più di 3.000 siti (anche se secondo altre fonti il numero supererebbe 5.000). Al secondo e terzo posto si piazzano Germania e Regno Unito con circa 400 strutture ciascuna. La Cina è quarta con poco più di 300. Il divario tra gli USA e le altre nazioni è quindi enorme ma destinato probabilmente ad allargarsi ancora.
Infatti, a gennaio Donald Trump ha dato il via allo “Stargate Project”, definito “il più grande progetto infrastrutturale di Intelligenza Artificiale della storia”: 500 miliardi di dollari per la costruzione di nuovi data center e infrastrutture tecnologiche avanzate.
La Cina ha risposto con il progetto “Eastern Data, Western Computing”, che punta a sfruttare le risorse interne e a rafforzare l’autonomia digitale. Ma la sfida per il futuro dei dati non si esaurisce nello scontro tra le due superpotenze: si gioca a livello globale, in particolare nel sud-est asiatico, a partire dalla Malesia.
Per decenni il sud di quel Paese ha basato la sua sopravvivenza sullo sfruttamento delle piantagioni di palma da olio. Ma ora, accanto agli alberi tropicali, sorgono decine di enormi edifici senza finestre che costituiscono uno dei più grandi progetti infrastrutturali al servizio del cloud e dell’Intelligenza Artificiale in tutto il mondo, con una capacità di alimentazione di soli 10 Megawatt (MW) nel 2021, salita a oltre 1.500 MW nel 2024.
In pochi anni, una località un tempo conosciuta esclusivamente per le sue spiagge e per la foresta pluviale sta emergendo come uno degli epicentri della nuova geografia informatica mondiale, grazie, anche, alla vicinanza alla rete capillare di cavi in fibra ottica di Singapore, uno dei principali hub del mondo e alla disponibilità di terreni più accessibili rispetto alla stessa Singapore.
E così, a pochi chilometri di distanza tra loro, convivono edifici e cantieri di aziende americane e cinesi, in un’eloquente rappresentazione di quello che è diventato un aspetto chiave della competizione tra Washington e Pechino: il controllo dei dati.
In questo scenario, ricco di sfide, non va dimenticata quella relativa al tema dell’enorme consumo energetico generato dai carichi di lavoro dell’Intelligenza Artificiale, che sarà sempre più grande e inciderà sugli scenari futuri del settore.
I data center, infatti, non sono solo posti enormi ma anche molto caldi, pieni di server in funzione 24 ore su 24. Per tenerli freschi e far funzionare le macchine al meglio è necessario mantenerli alla giusta temperatura, tramite acqua fredda (tantissima acqua), vaporizzazione, condizionatori.
Il Washington Post, in collaborazione con l’Università della California di Riverside, ha calcolato che per ogni testo di cento parole scritto da ChatGPT si consuma in media una bottiglietta d’acqua. Perché? “Ogni richiesta su ChatGPT passa attraverso un server che esegue migliaia di calcoli per determinare le parole migliori da usare nella risposta”, si legge sul quotidiano. Quindi maggiore è l’impegno dell’IA maggiore è il calore, e maggiore sarà la quantità di acqua necessaria per raffreddare le apparecchiature. Nelle aree in cui non ci sono risorse idriche a portata di mano, i data center optano per dei simil-condizionatori, che raffreddano le strutture al costo di un bel po’ di energia elettrica. Una ricerca di Deloitte ha stimato che l’aumento delle applicazioni di IA generativa potrebbe raddoppiare il consumo globale di elettricità dei data centre fino a 1.065 Terawattora (TWh) tra il 2025 e il 2030, arrivando a pesare per quasi il 4% dei consumi totali.
Possiamo quindi ben dire che, al momento, l’IA prende più di quanto dà. Pensare che in futuro il rapporto si ribalterà sicuramente vuol dire muoversi ancora una volta nel solco di un “tecno-ottimismo” dalle tinte forse un po’ troppo rosee, mentre internet prima e i social poi ci avrebbero già dovuto insegnare qualcosa.


















