Riccardo Scamarcio: attore, ma non solo, di successo internazionale


Un bambino irrequieto che si annoiava a scuola. Un adolescente che a 15 si è avvicinato al teatro. Un attore che spazia con disinvoltura da parti più leggere ad altre molto impegnate. Questo è Riccardo Scamarcio. Un uomo che, dice, ha come meta il viaggio.

La comfort zone non fa parte di lui. Ecco perché, anziché godere del successo raggiunto come attore bravo, ma anche affascinante, Riccardo Scamarcio ha sempre scelto copioni e personaggi molto diversi tra loro che hanno richiesto grandi capacità attoriali. Come non ricordare film del calibro di “Romanzo criminale” e “L’ombra di Caravaggio” per la regia di Michele Placido, “Go Go Tales” di Abel Ferrara, “Un ragazzo d’oro” di Pupi Avati, “Nessuno si salva da solo” di Sergio Castellitto o “Tre piani” di Nanni Moretti? Attore, ma anche sceneggiatore, produttore e doppiatore, la sua carriera è costellata di successi italiani e internazionali che dimostrano anche la capacità di selezionare pellicole di altissimo livello. Tra le sue ultime fatiche cinematografiche c’è “Race for Glory – Audi vs. Lancia” per la regia di Stefano Mordini in cui Scamarcio è sia l’attore protagonista Cesare Fiorio sia il produttore. In occasione dell’uscita in sala del film lo abbiamo incontrato al cinema Reposi di Torino. Durante la serata, organizzata da Film Commission Torino Piemonte e Lancia, erano presenti il cast, la troupe del lungometraggio e le istituzioni locali. Ultimamente l’attore pugliese si aggira per lavoro all’ombra della Mole Antonelliana. Lo scorso febbraio, infatti, era in città per le riprese di “Modì”, il biopic sul pittore e scultore toscano Amedeo Modigliani. La pellicola, per la regia di Johnny Depp, vede Riccardo Scamarcio vestire i panni del protagonista. Al suo fianco Luisa Ranieri nel ruolo di Rosalie e Al Pacino che interpreta Maurice Gangnat.

“Race for Glory – Audi vs. Lancia”. Cosa l’ha spinta a raccontare questa storia?
Ho incontrato Cesare Fiorio in Puglia. Lui soggiornava vicino a casa mia e ho avuto modo di conoscerlo e ascoltare il suo racconto che ho trovato subito emozionante e avventuroso. Quest’uomo è l’esempio di come gli italiani, con il proprio talento, possano vincere sfide apparentemente impossibili. Nel 1983 l’Audi era la macchina del futuro, ma con il pragmatismo e l’astuzia Fiorio è riuscito a battere il colosso tedesco – tra l’altro con un pilota tedesco al volante della Lancia – nonostante le tante difficoltà.

Qual è il messaggio che ha voluto dare al pubblico?
Il film racconta l’epica impresa della Squadra Corse Lancia, capitanata da Cesare Fiorio, che nel 1983 trionfò nel Campionato del Mondo di Rally contro gli storici rivali dell’Audi. La pellicola è un elogio ad una bella Italia che forse oggi non c’è più, un’Italia semplice e onesta che sarebbe importante recuperare. Il rally che abbiamo raccontato celebra un’artigianalità che ormai è superata perché ai giorni nostri tutto, incluso il mondo delle autovetture, è dominato dall’elettronica. Ogni lungometraggio ha la sua storia ed è artigianale. Sicuramente le risorse economiche aiutano, ma un regista famoso e tanti interpreti quotati non si traducono necessariamente in un blockbuster. Viceversa, alcuni lavori che ho fatto, anche con risorse limitate, raccontano belle storie ed hanno riscosso successo. Come nel mondo del cinema non esiste una ricetta per il film perfetto, allo stesso modo non c’è una regola per vincere un campionato di rally. Sicuramente però il cervello, il cuore e la passione in entrambi i casi sono determinanti.

Dove avete girato?
La pellicola, distribuita da Medusa Film, è stata realizzata a Torino e in Piemonte per 5 settimane nella primavera del 2022. Le riprese sono state fatte al grattacielo Lancia, negli uffici di Mirafiori e in altre location di Stellantis tra le quali il Proving Ground di Balocco. Siamo stati anche a Novara, in Val Formazza e al Parco del Mottarone. Al Massiccio del Mottarone, in particolare, abbiamo ricreato le ambientazioni del rally del Portogallo e di Montecarlo.

“Race for Glory – Audi vs. Lancia” è nato durante il Covid. È stato complesso lavorare?
Stefano Mordini ed io ci sentivamo al telefono ogni giorno per scrivere la sceneggiatura. Volevamo rispettare l’atmosfera dell’epoca e rendere il film quanto più vero possibile, eliminando gli elementi digitali. Ecco perché la pellicola ha pochi effetti speciali.

Quale ruolo ha avuto Lapo Elkann nella pellicola?
Ha interpretato suo nonno Giovanni Agnelli che alla fine degli Anni ‘80 inserì Fiorio nel cda della Juventus. Lapo ha subito capito sia la storia sia la difficoltà di portare in scena una figura iconica come quella dell’Avvocato. Il passaggio era delicato proprio perché lui è il nipote, ma gli abbiamo ritagliato una parte che potesse interpretare senza sembrare una maschera.

Anche lei, come Cesare Fiorio, è costantemente a caccia della vittoria?
Se fai l’attore vivi di provini e di audizioni e devi in qualche modo vincere perché, se vuoi la parte, devi lavorare e impegnarti per essere il migliore.

Facciamo un passo indietro: quando ha deciso di recitare?
Da bambino ero piuttosto irrequieto a e scuola non ci volevo andare. Soffrivo al pensiero di stare seduto al banco. Vivevo in Puglia e con il sole me ne andavo al mare. Giocando mi facevo spesso male e infatti sono pieno di tagli, ne ho anche in testa. Durante l’adolescenza ogni tanto scappavo e a 14 anni ho distrutto la macchina di mio padre. Ero pieno di energia e a 15 anni mi sono avvicinato al teatro recitando in dialetto in un’opera che però non era in vernacolo. Si trattava di “Miseria e nobiltà” e io ero il marchesino Eugenio. Un ruolo marginale, ma che da subito mi affascinò. Capii che recitare mi poteva regalare quell’adrenalina della quale avevo bisogno e pensai: il cinema italiano ha bisogno di un attore come me. Non era un atto di arroganza, era una convinzione seria.

Al cinema ha esordito nel 2003 con “La meglio gioventù” di Marco Tullio Giordana. Ci regala un ricordo?
Si trattava di una piccola parte e io recitavo in due scene delle quali una girata in Norvegia, a Capo Nord. Partii da solo da Roma e feci uno scalo di nove ore ad Amsterdam. Avendo molto tempo decisi di visitare la città. Entrai in un coffee-shop e, diciamo, assaggiai il prodotto locale. Per tornare all’aeroporto ebbi grandi difficoltà perché ero un po’ rallentato e rischiai di perdere il volo. Sul set c’era un’atmosfera famigliare e pensai: se questo è il cinema, è il paradiso.

Riccardo, al suo attivo ci sono circa settanta film più diverse serie TV per un totale di quasi cento titoli. Non si ferma mai?
(Ride). Diciamo che amo più recitare che vivere. A parte gli scherzi, per me il cinema è una forma di ricerca e non smetto mai di indagare.

Come si prepara per un film?
Ammetto che non studio. Ho una buona memoria fotografica e mi faccio prendere dalla logica del film. Mi piace confrontarmi con generi diversi e non essere mai prevedibile perché la mia meta è il viaggio.

Quanto è importante saper far ridere?
Secondo me è fondamentale, è davvero un’arma in più. Questo l’ho imparato da Giovanni Veronesi, un bravissimo regista e scrittore che mi ha trasferito questa sua sapienza.

È stato diretto da grandi registi: Costa-Gavras, Özpetek, Woody Allen e tanti altri. Un aneddoto?
Con Kenneth Branagh ho lavorato in “Assassinio a Venezia” e abbiamo girato fuori Londra negli studi dove hanno girato diversi “007”. Mi sembrava di essere al servizio militare, anche se io ho fatto l’obiettore di coscienza, perché alle cinque e mezza del mattino c’era già il pick-up. Lui è un grande regista che viene dal teatro e fa attenzione ad ogni singola battuta.